Itinerari libici

Erodoto - Le Storie - Libro IV - La Libia.

145. Mentre egli (1) compiva queste imprese, proprio nello stesso tempo avveniva contro la Libia un'altra spedizione in grande stile per il motivo che io riferirò, dopo aver premesso queste altre notizie. Dei discendenti degli Argonauti, scacciati da Lemno ad opera di quei Pelasgi che a Braurone avevano rapito le donne ateniesi, si misero in mare, recandosi a Sparta e, accampatisi sul Taigeto, accesero dei fuochi. Gli Spartani, quando li videro, mandarono un messo per sapere chi mai fossero e donde venissero; ed essi all'araldo che li interrogava dichiararono di essere Mini (2) discendenti degli eroi che si erano imbarcati sulla nave Argo: quelli infatti erano approdati a Lemno ed erano stati loro progenitori. Gli Spartani, dopo aver ascoltato la genealogia dei Mini, mandarono una seconda volta a chiedere che cosa volessero, perché fossero venuti nel loro paese e vi accendessero il fuoco. Quelli dissero che, scacciati dai Pelasgi, erano venuti nella terra dei loro padri poiché era quanto mai giusto che fosse cosí: chiedevano di poter convivere con loro, di aver parte negli onori e un'assegnazione di terreni. Gli Spartani si compiacquero di accogliere i Mini alle condizioni da loro stessi dettate; ma piú di tutto li indusse ad agire cosí la considerazione che i figli di Tindaro (3) avevano partecipato alla spedizione degli Argonauti. Cosí accoltili, assegnarono loro della terra e li distribuirono nelle varie tribú. I Mini ben presto contrassero nuove nozze e cedettero ad altri le donne che avevano condotto con sé da Lemno.

146. Senonché, passato poco tempo, i Mini cominciarono a diventare insolenti, a pretendere di aver parte nel governo e a commettere azioni contrarie alla leggi. Gli Spartani decisero allora di ucciderli e, arrestatili, li gettarono in prigione; poiché solo di notte essi uccidono quelli che intendono togliere di mezzo; durante il giorno, nessuno. Quando, dunque, stavano per eseguire la condanna a morte contro i Mini, le mogli, che erano cittadine spartane e figlie dei principali spartani, chiesero di poter entrare nella prigione e trattenersi a colloquio, ciascuna con il proprio marito. Le lasciarono entrare, non sospettando da parte loro alcun inganno; ma esse, non appena furono dentro, ecco che cosa fecero: passate tutte le vesti che avevano ai mariti, esse indossarono le loro. Così i Mini, vestiti con indumenti femminili, scambiati per donne, poterono evadere e, scampati in questo modo, si accamparono di nuovo sul Taigeto.

147. In questo periodo di tempo, Tera, figlio di Autesione, che era figlio di Tisamene, figlio a sua volta di Tersandro, il quale era nato da Polinice, si apprestava a partire da Sparta per fondare una colonia. Questo Tera, di razza cadmea (4) era zio materno di Euristene e di Procle, figli di Aristodemo (5), e finché questi furono in giovane età, Tera tenne a Sparta la reggenza. Quando peró i nipoti furono cresciuti ed ebbero preso possesso del potere, Tera, ritenendo insopportabile essere sottoposto ad altri dopo aver provato il gusto di comandare, dichiarò che non sarebbe rimasto a Sparta, ma si sarebbe imbarcato verso un popolo della sua stessa stirpe. Vivevano nell'isola che ora é chiamata Tera e prima si chiamava Callista i discendenti di Membliaro, figlio di Pecile, di origine fenicia; infatti Cadmo, figlio di Agenore, quando andava alla ricerca di Europa, era approdato all'isola che ora si chiama Tera (6) e, sia che il paese nel quale era sbarcato gli piacesse in modo particolare, sia che qualche altro motivo l'abbia indotto a farlo, lasciò in quest'isola un certo numero di Fenici, tra cui anche Membliaro, che era della sua famiglia. Questi uomini abitarono l'isola detta Callista per otto generazioni, prima che Tera vi giungesse da Sparta.

148. Verso quest'isola si preparava dunque a partire Tera con un gruppo di uomini delle varie tribú, intendendo convivere con gli antichi abitanti, non già, assolutamente, scacciarli; ma anzi, con ogni mezzo assicurarsi la loro simpatia. E, siccome c'erano allora, accampati sul Taigeto, anche i Mini fuggiti dal carcere, mentre gli Spartani erano decisi a mandarli a morte, Tera pregò che non si facesse quella strage e s'assunse egli la responsabilità di portarli fuori dal paese. Avendo gli Spartani acconsentito a questa proposta, egli fece vela con tre trieconteri (7) verso i discendenti di Membliaro, conducendo con sé solo una parte dei Mini, non tutti, poiché la maggior parte di essi preferiva volgersi verso i Paroreati (8) e i Cauconi, che essi poi scacciarono dal loro paese; e, divisi in sei parti, fondarono, in seguito, queste città: Lepreo, Macisto, Frisse, Pirgo, Epio e Nudio; la maggior parte di queste città ai giorni nostri furono distrutte dagli Elei. L'isola dal nome del fondatore prese il nome di Tera.

149. Ma poiché il figlio rifiutó di mettersi in mare con il padre, questi disse che l'avrebbe lasciato come una pecora fra i lupi: fu in seguito a queste parole che il giovinetto ebbe il soprannome di Eolico (9) e, a quanto pare , tale nome si impose. Figlio di Eolico fu Egeo, dal quale traggono il nome gli Egeidi, famiglia importante in Sparta. E, siccome agli uomini di questa famiglia non sopravvivevano i figli, essi eressero, per consiglio dell'oracolo, il santuario alle Erinni di Laio e di Edipo (10) ; e dopo questo i figli rimasero in vita. Lo stesso accadde anche in Tera, ai discendenti di questi uomini.

150. Fino a questo punto del racconto Spartani e Terei sono d'accordo; d'ora innanzi soltanto i Terei affermano che le cose si sono svolte come segue. Grino, figlio di Esanio, che discendeva da Tera ed era re dell'isola di Tera, se ne venne a Delfi, conducendo un'ecatombe, e lo seguivano altri cittadini, e fra essi Batto (11) figlio di Polimnesto, che era della stirpe di Eutimo, uno dei Mini. Mentre il re di Tera, Grino, interrogava l'oracolo su tutt'altro argomento, la Pizia gli rispose di fondare una città in Libia. Ma quello replicó: "O Signore (12), io sono troppo vecchio ormai e carico d'anni per assumermi questa impresa; ma tu impartisci l'ordine di fare ció a qualcuno di questi che sono piú giovani". E, mentre diceva tali parole, accennava a Batto. Allora si giunse fino a questo punto; ma poi partitisi di là, non fecero piú alcun conto dell'oracolo, dato che non sapevano in quale parte della terra fosse la Libia e non osavano far partire una colonia verso destinazione ignota.

151.Dopo questi fatti, peró, su Tera non cadde pioggia per sette anni consecutivi, durante i quali tutte le piante che si trovavano nell'isola, tranne una, si seccarono. Ai Terei che consultavano l'oracolo, la Pizia rinfacció la colonia in Libia. E, poiché non c'era rimedio per i loro malanni, mandarono degli inviati a Creta a chiedere se qualcuno dei Cretesi, o dei forestieri che erano con loro, fosse mai giunto fino in Libia. Aggirandosi quà e là per l'isola questi messi arrivarono anche alla città di Itano e in essa incontrarono un pescatore di porpore, di nome Corobio, il quale affermava di essere giunto, portato dal vento in Libia e, in Libia, nell'isola di Platea (13). Allora convincono costui, dietro compenso, e lo conducono a Tera; di qui, poi, degli uomini si imbarcano per esplorare i luoghi, dapprima in piccolo numero. Avendoli Corobio guidati a quest'isola di Platea, ivi lo lasciarono con una scorta di viveri per un certo numero di mesi; essi invece ripresero il mare in tutta fretta per fare ai Terei una relazione riguardo all'isola.

152. Siccome, peró, la loro assenza si prolungava piú del tempo stabilito, Corobio venne a mancare di tutto. Ma poi una nave di Samo, di cui era proprietario Coleo e che faceva vela verso l'Egitto, fu dal vento dirottata verso quest'isola di Platea e i Sami, da Corobio informati di tutta la questione, gli lasciarono viveri per un anno. Quindi essi, salpati dall'isola, con gran desiderio di raggiungere l'Egitto, veleggiarono, trasportati dal vento di Levante, fuori rotta e, siccome il vento non cessava di spirare, oltrepassate le colonne d'Ercole, come guidati da un dio giunsero a Tartesso (14). Questo scalo commerciale era a quel tempo ancora inesplorato; siccché i Sami, ritornati in patria, realizzarono con le merci i guadagni più elevati di tutti i Greci di cui abbiamo precise informazioni. Senza contare, peró Sostrato di Egina, figlio di Laodamante: poiché con costui non é possibile che altri possa gareggiare. Ora i Sami, presa la decima parte dei loro guadagni, cio&ecute; sei talenti, ne fecero un vaso di bronzo, in forma di cratere argolico, con tutto intorno teste di grifone in forte rilievo e lo consacrarono nel tempio di Era, dopo averlo collocato su tre giganti di bronzo, alti sette cubiti, poggiati sulle ginocchia. Da questo gesto di Coleo ebbe origine l'amicizia a tutta prova che lega gli abitanti di Cirene e di Tera a quelli di Samo.

153. Intanto i Terei che, lasciato Corobio nell'isola, erano tornati in patria, riferirono che avevano preso possesso di un'isola presso la Libia. Decisero allora i Terei di mandare colà degli uomini, tratti da tutti i distretti (che erano sette) in ragione di un fratello su due, designato dalla sorte, e che avrebbero avuto Batto come capo e re. E cosí essi inviarono a Platea due penteconteri (15).

154. Questa é la versione dei Terei; il resto del racconto ormai coincide con ció che dicono quelli di Cirene; poiché, per quel che riguarda Batto, i Cirenei non vanno assolutamente d'accordo con i Terei: essi, infatti, la raccontano cosí. C'era nell'isola di Creta la città di Oasso, su cui allora regnava Etearco, il quale, siccome aveva una figlia di nome Fromine, rimasta senza madre, per lei sposó un'altra donna. Ma costei, introdottatasi nella sua casa, pensó di dover essere per Fromine, matrigna non solo di nome, ma anche di fatto, infliggendole ogni umiliazione e macchinando contro di lei inganni di ogni sorta; alla fine, accusandola di dissolutezza, convinse il marito che ció che diceva era vero. Quello, persuaso dalla moglie, tramó contro la figlia un empio disegno. C'era in Oasso un mercante di Tera che si chiamava Temisone; Etearco, avendolo invitato a banchetto come ospite, gli fece giurare che senz'altro gli avrebbe reso il servigio di cui lo pregava. Quando l'ebbe legato a sé con giuramento fece venire la propria figlia e lo pregó che la portasse fuori dal paese e l'affogasse in mare. Temisone, allora, sdegnato per l'inganno con cui gli era stato strappato il giuramento, rotto ogni legame di ospitalit´, si comportó in questo modo: presa con sé la fanciulla, sciolse le vele; quando poi fu in alto mare, per liberarsi dal vincolo del giuramento fatto ad Etearco, la legó con delle funi e la fece calare in mare; ma poi tiratala su di nuovo, se ne andò a Tera.

155. In seguito,Polimnesto, uomo che godeva di prestigio fra i Terei, presa Fromine con sé, la tenne come sua concubina. Col passare del tempo, ne nacque un figlio, difettoso nel parlare e balbuziente, al quale, secondo i Terei ed i Cirenei, fu posto il nome di Batto; secondo me, invece, qualche altro nome. Cambió poi in Batto il suo nome quando giunse in Libia, deducendolo dall'oracolo che gli era stato comunicato in Delfi e dalla dignità regale che vi ebbe. Poiché i Libici chiamano "batto" il re ed é per questo, io credo, che la Pizia, nell'esprimere il vaticinio, lo interpelló in lingua libica, perché sapeva che egli sarebbe stato re in Libia. In fatti, quando fu uomo maturo se ne venne a Delfi per consultare l'oracolo sul proprio difetto di pronuncia; ma alla sua domanda la Pizia diede questa risposta:

O “batto”, sei venuto per la tua voce,ma il signore Febo Apollo ti manda a fondare una colonia nella Libia, nutrice di greggi.
Era come se gli avesse detto in lingua greca : “O re, sei venuto per la tua voce.” Quello allora replicó:
O Signore, io sono venuto a te per consultarti sulla mia pronuncia difettosa; tu, invece, mi rispondi tutt'altra cosa, impossibile a farsi, ordinandomi di colonizzare la Libia: con quali mezzi? Con quali compagni?.
Ma pur dicendo cosí, non riuscí a convincere la Pizia che gli desse un altro responso. Ora, siccome quella ripeteva lo stesso vaticinio di prima, Batto, lasciatala nel bel mezzo, se ne tornó a Tera.

156. In seguito per lui e per gli altri Terei fu un continuo susseguirsi di malanni e i Terei che non sapevano spiegarsene la ragione, mandarono a Delfi per interrogare il dio sui mali che li opprimevano. La Pizia rispose loro che avrebbero avuto sollievo dalle sventure se, insieme con Batto avessero fondato Cirene in Libia. In conseguenza di ció, essi fecero partire Batto con due penteconteri. Questi peró, giunti che furono in Libia, poiché non avevano altro da fare, se ne tornarono nuovamente a Tera. Ma quando stavano per approdare, i Terei li ricacciarono, non permisero che s'accostassero a terra e imposero loro di riprendere il mare. Cosí, costretti con la forza, invertirono la rotta e colonizzaro un'isola che si trovava di fronte alla Libia, quella che, come s'é detto precedentemente, si chiama Platea. E si dice che quest'isola abbia un'estensione pari a quella che ha attualmente la città di Cirene.

157. L'abitarono per due anni; ma poi visto che non c'era nulla che riuscisse favorevole, lasciato colà uno di loro, tutti gli altri fecero vela verso Delfi: giunti alla sede dell'oracolo, lo consultarono, facendo notare che essi abitavano bensí la Libia, ma le loro cose non andavano, per questo, meglio. A tali rimostranze la Pizia rispose cosí: "Se tu, pur non essendoci stato, conosci la Libia, nutrice di greggi, meglio di me, che ci sono andato (16), io sono molto ammirato della tua sapienza.". Udite queste parole, Batto e i suoi ripresero di nuovo la via del ritorno. Era chiaro, infatti, che il dio non li riteneva assolti dall'obbligo della colonia, se prima non giungevano nella Libia propriamente detta (17). Arrivati nell'isola e preso il compagno che v'avevano lasciato, colonizzarono nella Libia stessa, proprio di fronte all'isola, una località che si chiamava Aziri: da due parti la chiudono splendide colline, ricche di boschi, e, da un lato, un fiume che le scorre accanto.

158. In questo luogo abitarono per sei anni, ma, al settimo, i Libici avendoli scaltramente lusingati che li avrebbero condotti in un luogo migliore, li persuasero a lasciarlo. Toltili, quindi, di là, i Libici li condussero verso occidente e, per evitare che i Greci, attraversando la regione piú splendida, vi lasciassero gli occhi, avendo calcolato il cammino in modo che coincidesse con la durata del giorno, ve li fecero passare di notte: é questa la regione che si chiama Irasa. Li condussero, quindi, presso una sorgente che si diceva sacra ad Apollo e dissero:

"O uomini di Grecia, é qui che vi conviene abitare; poiché qui il cielo é forato (18).

159. Finché furono in vita il fondatore Batto, che regnó per 40 anni, e suo figlio Arcesilao, che ne regnó 16, gli abitanti di Cirene rimasero tanti di numero, quanti erano stati in principio mandati a fondare la colonia. Ma sotto il terzo re, Batto, soprannominato Felice, la Pizia con i suoi responsi prese ad incitare i Greci di ogni regione a imbarcarsi per abitare la Libia insieme con i Cirenei; poiché questi li allettavano con la promessa di una ripartizione del terreno. Il responso della Pizia diceva cosí:

Chiunque giungerà troppo tardi nell'amabile Libia, quando il paese sarà già diviso, io dico che poi, un giorno, se ne avrà a pentire.
Essendo, quindi, affluita gran folla a Cirene, vedendosi spogliati di gran parte delle loro terre, i Libici del vicinato e il loro re Adicrane, che si trovavano depauperati del paese e gravemente offesi dai Cirenei, mandarono in Egitto a fare atto di sottomissione al re egiziano Aprie (19). Quello, raccolto un potente esercito di Egizi, lo mandó a Cirene e i Cirenei, usciti in campo contro di loro nella regione di Irasa e presso il fiume Teste, si scontrarono con gli Egiziani e li vinsero in battaglia. Gli Egiziani, che prima non avevano mai avuto esperienza della forza dei Greci e li tenevano in poco conto, subirono una disfatta cosí grave che ben pochi di loro tornarono in Egitto. Fu appunto per questo insuccesso e perché a lui ne attribuivano la colpa, che gli Egiziani si ribellarono ad Aprie.

160. Figlio di questo Batto fu Arcesilao, il quale, appena divenuto re, venne in discordia con i suoi fratelli, fino a che questi, lasciata Cirene, se ne andarono in un altro luogo della Libia e lí, dopo essersi tra loro consultati, fondarono la città che allora si chiamó Barce (20), come si chiama tuttora: nello stesso tempo che la fondavano fecero sí che i Libici defezionassero dai Cirenei. In seguito a questi fatti, Arcesilao mosse guerra contro quei Libici che li avevano accolti, che erano poi gli stessi che s'erano ribellati, e che, presi da timore, si diedero a fuggire verso i Libici orientali. Arcesilao li inseguí nella loro fuga, fino a che giunse a Leucone di Libia, dove peró, i Libici decisero di assalirlo. E, venuti alle mani, i Cirenei ricevettero una sconfitta così bruciante, che ben 7.000 opliti caddero lí sul posto. Dopo questa disfatta, Arcesilao, che era ammalato e aveva già bevuto del veleno, fu strangolato dal fratello Learco il quale peró, a sua volta, fu ucciso, con inganno, dalla moglie di Arcesilao, che si chiamava Erisso.

161. Ad Arcesilao successe nel regno il figlio Batto, che era zoppo e malfermo sulle gambe. I Cirenei, preoccupati per l'insuccesso che li aveva colpiti, mandarono a Delfi per sapere con quale forma di costituzione (21) sarebbero vissuti nel modo migliore. La Pizia consigliò di far venire un arbitro da Mantinea, città dell'Arcadia; mandarono, dunque, a chiederlo e i Mantineesi diedero loro un uomo che godeva fra i cittadini il massimo prestigio e si chiamava Demonatte. Costui, arrivato a Cirene e presa conoscenza di ogni cosa, li divise in tre tribú, disponendoli in questo modo: costituí la prima tribú con i Terei e i perieci (22); la seconda, di Peloponnesiaci e Cretesi; la terza con tutti gli abitanti delle isole. D'altra parte riservò al re Batto alcuni particolari possedimenti e uffici sacerdotali; ma tutto quello che precedentemente i re possedevano lo mise in comune per il popolo.

162. In questo modo disposte, le cose durarono finché visse questo Batto; ma sotto suo figlio Arcesilao, si ebbero dei gravi tumulti per quel che riguardava la prerogative reali; poiché Arcesilao, figlio di Batto, lo zoppo, e di Feretime, dichiarò di non volersi adattare a quello che Demonatte di Mantinea aveva stabilito; ma chiedeva di riavere i privilegi di cui avevano goduto i suoi antenati. Avendo quindi provocato una rivolta, ebbbe la peggio e fuggì a Samo; mentre la madre sua si rifugió a Salamina, nell'isola di Cipro. In quel tempo era padrone di Salamina Eveltone, colui che consacrò a Delfi quell'incensiere, degno di essere ammirato, che ora si trova nel tesoro dei Corinzi. Giunta presso di lui, Feretime lo pregava di concederle un corpo di spedizione che avrebbe ricondotto lei e suo figlio a Cirene; ma Eveltone a lei faceva doni d'ogni specie, tranne che di un esercito. Essa ricevendo quanto le veniva donato, dichiarava che, sì, era bello anche quello, ma più bella era quell'altra cosa, cioé se le concedeva i soldati da lei richiesti. E poiché essa ripeteva queste stesse parole ad ogni dono che le veniva offerto, infine Eveltone le inviò un fuso d'oro e una conocchia, che aveva anche, sopra, della lana; e, avendo Feretime ripetuto lo stesso ritornello, Eveltone replicò che erano quelli gli oggetti di cui si faceva dono alle donne, non già gli eserciti. 163. Durante questo tempo, Arcesilao, che si trovava a Samo, andava raccogliendo uomini d'ogni sorta facendoli sperare in un'assegnazione di territorio e quando si fu radunata una massa imponente, fu mandato egli stesso a Delfi per consultare l'oracolo sul suo ritorno. La Pizia gli diede questo responso: "Per la durata della vita di quattro Batti e quattro Arcesilai, quindi di otto generazioni di uomini, Lossia (23) vi concede di dominare su Cirene; oltre questo periodo (24) vi consiglia di non tentare nemmeno. Tu, però, rientrato che sia nella tua città, stattene tranquillo e se troverai il forno pieno di anfore, non volerle cuocere, ma lasciale andare via con il favore del vento; se, invece, le farai cuocere, non entrare nella città che è cinta dalle acque, altrimenti morrai tu e con te, il più bel toro (25).". 164. Questo fu il responso che la Pizia diede ad Arcesilao. Egli, presi con sé i compagni di Samo, se ne tornò a Cirene e, divenuto padrone della situazione, non si ricordò più le parole dell'oracolo, ma trasse vendetta contro i suoi avversari per averlo mandato in esilio. Di questi nemici, alcuni se ne andarono senz'altro dal paese, altri, caduti in mano di Arcesilao, furono da lui inviati a Cipro, perché fossero mandati a morte (26); ma, sbattuti dai venti verso le coste di Cnido, furono dagli abitanti del luogo liberati e inviati a Tera. Altri ancora, che s'erano rifugiati in una grande torre, proprietà privata di Aglomaco, Arcesilao li arse vivi, avendo ammassato tutto intorno della legna. Però, non appena commessa l'empia vendetta, intuí che era quello che l'oracolo intendeva quando la Pizia gli proibiva di cuocere le anfore che avrebbe trovate nel forno, e, volontariamente, si tenne lontano da Cirene, per timore della morte che gli era stata vaticinata e convinto che la città "cinta dalle acque" fosse appunto Cirene. Ora egli aveva in moglie una sua parente, figlia del re di Barce, il quale si chiamava Alazir; presso costui egli si reca e ivi alcuni cittadini di Barce ed alcuni esuli di Cirene, riconosciutolo che s'aggirava per la piazza del mercato, lo uccisero e ,oltre a lui, abbatterono anche il suocero Alazir. Così Arcesilao pose termine al suo destino, per non aver dato ascolto, volontariamente o meno, alle parole dell'oracolo. 165. In questo frattempo, mentre Arcesilao, che s'era adoperato per la propria rovina, viveva nella città di Barce, la madre di lui Feretime, in Cirene (27), godeva essa stessa dei privilegi del figlio, amministrando tutti gli affari e sedendo in consiglio; ma quando venne a sapere che il figlio suo era stato ucciso nella città di Barce, prese la fuga e se ne andò in Egitto. Aveva, infatti, da far valere delle benemerenze da parte di Arcesilao verso Cambise figlio di Ciro; poiché era stato proprio Arcesilao che aveva dato Cirene in mano a Cambise e s'era assoggettato a tributo. Recatasi, dunque, in Egitto, Feretime si presentò supplice ad Ariande e lo pregò di prestarle aiuto, adducendo come motivo della sua richiesta, che il figlio era stato ucciso a causa della devozione che nutriva per i Medi. 166. Questo Ariande era governatore dell'Egitto, investito della sua carica da Cambise; un certo tempo dopo questi fatti, egli, per aver voluto uguagliarsi a Dario, fu tratto a rovina. Infatti egli sapeva e vedeva come Dario desiderasse lasciare di sé un ricordo quale nessun altro re prima di lui si era procurato, lo imitò in questo, fino a che non ebbe ricevuto il castigo. Dario, infatti, coniava le monete dopo aver portato l'oro, per mezzo del fuoco, al grado più alto possibile di purezza; Ariande, nella sua qualità di governatore d'Egitto, faceva la stessa cosa, ma con l'argento; tanto che, anche ora, l'"ariandico" é l'argento più puro che ci sia. Dario, venuto a sapere che Ariande faceva questo, avendolo accusato di tutt'altra colpa (28) e, cioé, di volersi a lui ribellare, lo mandò a morte. 167. Allora, dunque, questo Ariande, mosso a compassione di Feretime, le concesse tutto l'esercito che si potesse avere dall'Egitto, tanto le forze di terra che quelle di mare: al comando delle forze di terra designò Amasi, della tribù dei Marafi; a capo della flotta Badre, della stirpe dei Pasargadi. Prima, però, di dare il via all'esercito, Ariande mandò a Barce un araldo per sapere chi fosse il colpevole della morte di Arcesilao; ma quelli di Barce se ne assunsero la responsabilità tutti insieme, poiché molti erano i mali che soffrivano sotto il suo comando. Così, ricevuta questa risposta, Ariande fece partire le truppe insieme con Feretime. Questo, naturalmente, non era che un semplice pretesto, ma, a mio modo di vedere, quella spedizione aveva come intento la conquista della Libia, poiché molti e di varia razza sono i popoli della Libia e, di essi, soltanto pochi erano sottomessi al re di Persia; i più, invece, non si davano alcun pensiero di Dario. 168. I popoli di Libia sono stanziati nell'ordine che segue. I primi, a cominciare dall'Egitto (29), sono gli Adirmachidi, che hanno per lo più, usi e costumi degli Egiziani, ma vestono alla foggia degli altri Libici. Le loro donne portano d'uso degli anelli di rame su ciascuna gamba; tengono lunghi i capelli e quando prendono dei pidocchi, dà ciascuna un colpo di denti a quelli che ha presi e poi li getta via. Sono i soli fra i Libici che abbiano questa abitudine e i soli che presentano al re le fanciulle che stanno per prendere marito: se ve n'é qualcuna che piaccia al re, dal re stesso viene deflorata. Questi Adirmachidi si stendono dall'Egitto fino al porto che si chiama Plino (30). 169. A confine con costoro sono i Giligami, che abitano, verso occidente, un paese che giunge fino all'isola Afrodisiade: entro questo spazio si ha, nelle vicinanze della costa, l'isola di Platea, colonizzata dai Cirenei e, sul continente, il Porto di Menelao e Aziri, dove un tempo abitavano quelli di Cirene. Da questo punto comincia la coltivazione del silfio (31), che si estende dall'isola di Platea fino all'imboccatura della Sirte (32). I Giligami hanno costumi molto simili agli altri Libici. 170. Vicini a questo popolo sono, sempre ad occidente, gli Asbisti che abitano sopra Cirene, ma non giungono fino al mare, perché la zona costiersa é popolata di Cirenei. Non sono gli Asbisti i meno esperti, anzi sono i più abili guidatori di quadrighe e si adoprano a imitare la maggior parte delle istituzioni dei Cirenei. 171. Con gli Asbisti confinano a occidente, gli Auschisi: essi abitano sopra Barce e si stendono fino al mare nei pressi di Euesperidi (33). In mezzo al paese degli Auschisi abitano i Bacali, piccolo popolo, i quali raggiungono il mare nei pressi di Tauchira, città del territorio di Barce; come costumi, essi adottano gli stessi che hanno i Libici abitanti sopra Cirene. 172. Vicini agli Auschisi di cui si é parlato, sono i Nasamoni, popolo prolifico, i quali d'estate lasciano le greggi sulla riva del mare e risalgono all'interno fino alla località Augila, per raccogliere i datteri, poiché ivi crescono frequenti e rigogliose le palme e tutte portano frutti. Vanno a caccia di cavallette e, quando le prendono, le fanno seccare al sole, le riducono in polvere e poi le trangugiano mescolandole con il latte. Essendo loro costume di avere molte mogli ciascuno, a esse si uniscono in comune, allo stesso modo, press'a poco, dei Massageti: piantano davanti al luogo, dove si trovano, un bastone e si congiungono alla donna. Quando uno dei Nasamoni prende moglie per la prima volta é tradizione che, la prima notte, la sposa passi da uno all'altro fra tutti i convitati, unendosi ad essi: e ciascuno di quelli con cui si é unita, le dà in dono ciò che ha con sè e che ha portato da casa sua. Quanto ai giuramenti e alla divinazione, essi si comportano nel modo seguente: giurano invocando il nome di quegli uomini che hanno fama di essere stati i più giusti e i migliori e tenendo la mano sopra la loro tomba; e traggono gli auspici recandosi sui sepolcri dei loro antenati e ivi, dopo aver fatto preghiera, si addormentano: la visione che uno ha in sogno è come un vaticinio. E questo é il modo con cui impegnano la loro fede: uno dà a bere all'altro con il cavo della mano ed egli stesso beve dalla mano dell'altro; se non hanno a disposizione nulla di liquido, prendono su da terra della polvere e la leccano. 173. Confinanti con i Nasamoni erano i Psilli; questi sono scomparsi dal mondo nel modo seguente: il Noto (34), soffiando contro di loro, aveva inaridito le cisterne di acqua e tutto il paese, che si trova all'interno della Sirte, era riarso dalla siccità. Essi allora, dopo aver ben deliberato in comune, mossero in guerra contro il Noto (io dico, naturalmente, quello che raccontano i Libici), e quando furono nella regione delle sabbie, il vento di Noto, che aveva ripreso a soffiare, li seppellì tutti. Da quando essi scomparvero dal mondo, occupano il loro paese i Nasamoni. 174. Al di sopra (35)di costoro, verso il vento del Noto, abitano, in una regione infestata dalle fiere, i Garamanti (36) che fuggono lontano da ogni uomo ed evitano ogni convivenza; non possiedono arma alcuna da guerra e non sanno nemmeno difendersi. 175. Questi,dunque, si trovano al di sopra dei Nasamoni. Vicini ad essi, costeggiando il mare verso occidente, si trovano i Maci, i quali si radono a cresta, lasciando crescere i capelli a sommo il capo e tagliandoli alle tempie fino alla pelle; in guerra portano a difesa delle pelli di struzzo. Attraverso il loro paese scorre il fiume Cinipo, che, sgorgando dal colle detto "delle Grazie", si getta in mare. Questa collina delle Grazie é densa di boschi, mentre tutto il resto della Libia, di cui sinora si é parlato, é privo di vegetazione, e dista dal mare 200 stadi. 176. Confinano con questi Maci i Gindani, le cui donne portano degli anelli di cuoio intorno alle caviglie: ognuna ne porta molti e la ragione, a quanto si dice, é questa: per ogni uomo con cui si uniscono, si legano un nastro che cinge il malleolo. Così colei che ne ha più di tutte è considerata la più affascinante, in quanto amata dal maggior numero di uomini. 177. Su una lingua di terra, che si protende in mare davanti a questi Gindani, abitano i Lotofagi, i quali vivono cibandosi esclusivamente del frutto del loto. Questo frutto di loto é grosso quanto una bacca di lentisco e per dolcezza é molto simile al frutto della palma: i Lotofagi ne traggono anche un vino. 178. Ai Lotofagi, lungo il mare, seguono i Maclui; usano anch'essi il loto, ma meno di quelli appena nominati. Si estendono fino ad un grande fiume che si chiama Tritone e che sbocca nella grande palude Tritonide. In questa palude c'é un'isola di nome Fla. Raccontano che, secondo un oracolo, l'isola doveva essere colonizzata dagli Spartani. 179. C'é poi un'altra storia che si racconta, ed é questa: Giasone, quando alle falde del Pelio gli fu allestita di tutto punto la nave Argo, imbarcatavi una ecatombe e, oltre al resto, anche un tripode di bronzo, veleggiò costeggiando il Peloponneso con l'intenzione di recarsi a Delfi. Ma, giunto che fu, navigando, nei pressi del promontorio Malea (37), lo colse di sorpresa il vento del Nord, che lo allontanò dalle coste, portandolo verso la Libia; e prima ancora che vedesse terra si trovò incagliato nei bassifondi del lago Tritonide. Ora, mentre egli non sapeva come uscire dalle secche, dicono che gli apparve Tritone, il quale ordinò a Giasone di donargli il tripode, promettendo che avrebbe mostrato loro la via d'uscita e li avrebbe lasciati andare sani e salvi. Avendo Giasone acconsentito a questa richiesta, Tritone fece vedere il passaggio attraverso il bassofondo e ripose il tripode nel suo tempio, dopo, però, aver vaticinato sul tripode stesso e predetto a Giasone e compagni tutta completa la vicenda: che, cioé, quando uno dei discendenti degli Argonauti avesse portato via il tripode, allora non si sarebbe potuto assolutamente evitare che 100 città greche fossero fondate intorno al lago Tritonide. Udita questa predizione, i Libici del luogo avrebbero nascosto il tripode. 180. Confinano con i Maclui, di cui si é parlato, gli Ausei: essi e i Maclui abitano intorno al lago Tritonide, e il Tritone segna in mezzo il confine tra i due popoli. Mentre i Maclui portano i capelli lunghi sulla nuca, gli Ausei li lasciano crescere sulla fronte. Nella festa in onore di Atena, che essi celebrano ogni anno, le loro fanciulle, divise in due campi, combattono fra di loro con pietre e bastoni, rispettando così esse dicono, le istituzioni patrie verso la dea indigena, che noi chiamiamo Atena (38): le fanciulle che soccombono per le ferite vengono chiamate "false vergini". Prima, però, di lasciarle ingaggiare battaglia, ecco che cosa fanno: a spese comuni rivestono una fanciulla, che é sempre ogni volta la più bella, con un elmo di Corinto e un'armatura greca al completo, e, fattala salire su di un cocchio, la portano in giro intorno al lago. Con quali armi adornassero in antico queste fanciulle, prima che i Greci si fossero stanziati nelle vicinanze, non saprei dire; penso, però, che le ornassero con armature egiziane; poiché é dall'Egitto, io dico, che sono giunti tra i Greci lo scudo rotondo e l'elmo. Quanto ad Atena, dicono che fosse figlia di Posidone e della dea del lago Tritonide, ma che, avendo avuto con il padre suo qualche screzio, si sarebbe affidata a Zeus, il quale l'avrebbe adottata come figlia. Questo é quello che raccontano. Possiedono le loro donne in comune, non già convivendo con esse, ma unendosi come le bestie. Quando il bimbo di una donna abbia preso una certa decisione di tratti, gli uomini si radunano tutti in un sol luogo, nel terzo mese, e colui al quale più somiglia il fanciullo, viene considerato suo padre. 181. Questi che sono stati nominati sono i Libici nomadi stanziati lungo la riva del mare: a sud di questi, nell'interno del continente, c'é la Libia delle belve feroci; e, oltre la regione delle fiere, si stende un ciglione sabbioso che si protende da Tebe d'Egitto fino alle Colonne d'Ercole. In questo ciglione, a circa 10 giorni di cammino l'uno dall'altro, si trovano, sopra delle alture, blocchi di sale che risultano di grossi grani agglomerati; sulla cima di ogni collina zampilla, prepotente, in mezzo al sale, una polla d'acqua fresca e dolce e intorno ad essa abitano degli uomini che sono gli ultimi nella direzione del deserto, a sud della regione delle fiere. I primi che si incontrano, a dieci giorni di marcia da Tebe sono gli Ammoni (39), che possiedono il santuario di Zeus, derivato da quello di Tebe, poiché anche in Tebe, come ho già detto precedentemente, la statua di Zeus ha il volto di montone. Presso di loro c'é anche un'altra sorgente, la cui acqua al mattino é tiepida, più fresca é all'ora in cui il mercato é pieno; a mezzogiorno é adirittura fredda ed é allora che gli Ammoni innaffiano i giardini. Col declinare del giorno l'acqua perde della sua freschezza, finché non tramonta il sole e la fonte diventa tiepida; poi, sempre facendosi a poco a poco più calda, ci si avvicina alla mezzanotte, ora in cui essa bolle fino a traboccare; passa poi la mezzanotte e l'acqua si va rinfrescando fino all'aurora. Quanto al nome, essa si chiama la sorgente del Sole. 182. Dopo gli Ammoni, seguendo il ciglione sabbioso, per altri dieci giorni di marcia, si trova una collina di sale, simile a quella degli Ammoni, con la sua acqua sorgiva, e intorno vi abitano degli uomini; il nome di questa località é Augila ed é qui, appunto, che vengono i Nasamoni per cogliere i datteri. 183. Lontano da Augila altri dieci giorni di cammino, c'é un'altra collina di sale, con acqua sorgiva e molte palme da frutto: proprio come negli altri luoghi, vi abita una popolazione molto numerosa, i Garamanti, i quali portano e distendono della terra sopra il sale e così possono gettarvi la semente. La via più diretta é verso i Lotofagi, per raggiungere i quali ci sono da questo paese 30 giorni di cammino. Qui si trovano anche i buoi che pascolano a ritroso e fanno così per questa ragione: siccome hanno le corna ricurve in avanti, pascolano camminando indietro; in avanti non possono, altrimenti le corna si infiggono nel terreno. Nient'altro di diverso hanno dagli altri buoi, tranne questo e la pelle che é spessa e ruvida. Questi Garamanti vanno a caccia degli Etiopi trogloditi con i loro carri a quattro cavalli, poiché gli Etiopi trogloditi sono i più veloci alla corsa di tutti gli uomini dei quali noi abbiamo sentito parlare. Mangiano essi serpenti, lucertole e simili rettili; usano una lingua che non ha somiglianza con alcun'alra, ma emettono delle strida che ricordano quelle dei pipistrelli. 184. Altri dieci giorni di cammino distante dai Garamanti, c'è un'altra collina di sale, altra sorgente e intorno ad essa abitano gli Atlanti; sono gli unici fra gli uomini, che noi conosciamo, che non abbiano nomi propri: tutti insieme, infatti, si chiamano Atlanti, ma non c'é un nome particolare per ciascun individuo. Essi contro il sole che dardeggia a dismisura, scagliano maledizioni e, oltre ad esse, gli rivolgono offese d'ogni sorta, poiché col suo ardore li consuma, non solo gli uomini, ma anche il paese. Dopo altri dieci giorni di cammino s'incontra un'altra collina di sale e acqua sorgiva e uomini che abitano intorno ad essa. Contiguo a questa collina c'é il monte che si chiama Atlante: é di base ristretta e rotondo da ogni parte, ma così alto, a quel che si dice, che non é possibile vederne la cima, poiché le nubi non lo abbandonano mai, né d'estate né d'inverno: sostengono gli abitanti del luogo che esso sia la colonna che sostiene il cielo. Da questo monte gli indigeni hanno avuto la denominazione, poiché si chiamano Atlanti. Si dice che non si cibino d'alcun essere vivente e che non vedano mai sogni. 185. Fino a questi Atlanti io ho la possibilità di elencare i nomi dei popoli stanziati nel ciglione sabbioso; ma d'ora in avanti non più. Si stende, dunque, il ciglione fino alle Colonne d'Ercole, e anche oltre; e vi si trovano, a intervalli di dieci giorni di cammino, cave di sale e abitanti. Le dimore di tutti questi uomini sono costruite con blocchi di sale: in questa parte della Libia, infatti, non cadono più piogge; altrimenti non potrebbero resistere i muri, che sono di sale, se piovesse. Il sale che vi si estrae é bianco, o anche rosso all'aspetto. Al di là del ciglione, verso il vento Noto e penetrando nell'interno della Libia, il paese é deserto, senz'acqua, senza animali, senza pioggia, senza piante; non c'é traccia alcuna di umidità. 186. Così, dunque, a cominciare dall'Egitto fino al lago Tritonide vivono popoli libici nomadi, che mangiano carni e bevono latte, che però non toccano carne di vacca, per la stessa ragione per cui se ne astengono anche gli Egiziani (37) e non allevano maiali. Anche le donne di Cirene ritengono di doversi astenere dalle carni di vacca, per rispetto a Iside egizia; anzi, in suo onore, esse praticano, inoltre, dei digiuni e celebrano delle feste. Le donne di Barce non solo non gustano carni di vacca, ma neppure quelle di maiale. Così stanno queste cose. 187. A occidente del lago Tritonide, invece, i Libici non sono più nomadi; non fanno uso dei medesimi costumi, né praticano sui figli quello che sono soliti fare i nomadi. Infatti i Libici nomadi (se proprio tutti non poteri dirlo con precisione, ma certo molti fra essi) fanno così: quando i loro figli hanno quattro anni, con della lana di pecora ancora grassa, bruciano loro le vene a sommo del capo; alcuni anche quelle delle tempie e ciò perché, per tutta la vita, il siero non abbia più a colare dal capo e recar danno alla loro salute: é questa la ragione, dicono, per cui essi sono sanissimi. Effettivamente é vero che i Libici, di tutti gli uomini che conosciamo, sono i più sani: se sia per questo non potrei dirlo con esattezza, ma é certo che hanno una salute di ferro. Se poi, mentre li bruciano, i fanciulli vengono presi da convulsioni, essi hanno già bell'e trovato il rimedio: li guariscono irrorandoli con orina di capro. Naturalmente io riferisco quello che raccontano i Libici stessi. 188. Per i sacrifici, i nomadi hanno questi riti. Dopo aver staccato come primizia un pezzo d'orecchio della vittima, se lo gettano al di sopra della spalla; ciò fatto, torcono indietro il collo dell'animale. I soli dei a cui sacrificano sono il Sole e la Luna o, meglio, a questi sacrificano tutti i Libici; ma quelli che abitano intorno al lago Tritonide offrono sacrifici prima di tutto ad Atena, poi a Tritone e a Posidone. 189. I Greci presero l'abbigliamento e le egide che adornano le statue di Atena dalle donne di Libia: sennonché il vestito delle libiche é di cuoio e le frange, che dalle egide stesse pendono, non sono serpenti, ma striscie di cuoio; per il resto, il vestito é tutto uguale. Anche il nome, del resto, rivela che il modo di rivestire le statue di Pallade é derivato dalla Libia; infatti le donne di Libia gettano sopra i loro vestiti delle pelli di capra, dal pelo rasato, adorne di frange, tinte di rosso: orbene, da queste "pelli di capra" i Greci hanno tratto il nome delle "egidi". Secondo me, anche le grida acute che risuonano nei riti sacri hanno avuto la prima origine qui in Libia; poiché l'uso di alzare grida é molto in voga fra le Libiche e ne approfittano bene. Così pure dai Libici i Greci hanno appreso l'arte di aggiogare insieme quattro cavalli. 190. Quanto ai morti, i nomadi li seppelliscono come i Greci, tranne i Nasamoni; questi li depongono nelle tombe seduti; avendo cura, quando uno sta per emettere l'ultimo respiro, di metterlo a sedere; che non muoia disteso supino. Hanno abitazioni formate di gambi di asfodeli intrecciati a giunchi; e sono trasportabili. Tali sono i costumi di questi popoli. 191. A occidente del fiume Tritone, accanto agli Ausei si trovano già dei Libici agricoltori, i quali usano possedere delle case e si chiamano Massi: essi portano i capelli lunghi dalla parte destra del capo, e si radono dalla sinistra; hanno il corpo tinto di rosso e sostengono di essere discendenti degli uomini venuti da Troia (40). Il loro paese, come il resto della Libia verso occidente, é molto più popolato di fiere e denso di boschi che non la terra dei nomadi: infatti, la parte della Libia verso oriente, quella che abitano i nomadi, é squallida e sabbiosa fino al fiume Tritone; la parte che si stende da questo fiume in poi, verso ponente, cioé il paese degli agricoltori, é molto montuosa, boscosa e ricca di animali. Presso di loro infatti si trovano i serpenti mostruosi e i leoni; così pure gli elefanti, e orsi, aspidi e asini con le corna (41), e i cinocefali e gli animali senza testa che hanno gli occhi nel petto (almeno così raccontano i Libici), e gli uomini e le donne selvaggi e molti altri numerosi animali favolosi. 192. Presso i nomadi, invece, non c'é nulla di simile; ma vi si trovano questi animali: pigarghi, gazzelle, e bubali; e poi asini, non quelli con le corna, ma altri che resistono alla sete (in effetti, essi quasi non bevono) e orici, dalle cui corna si traggono i manichi delle cetre fenicie (é questo un animale che ha le dimensioni d'un bue); e piccole volpi, e iene, e istrici, e montoni selvatici, e dittii, e sciacalli, e pantere, e borii, e coccodrilli terrestri, che arrivano anche a tre cubiti e sono molto simili alla lucertole, e struzzi e piccoli serpenti, che hanno un corno solo per ciascuno. Queste sono le varietà di animali che si trovano colà, oltre a quelli che si trovano altrove, tranne il cervo e il cinghiale: il cervo e il cinghiale in Libia assolutamente non esistono. Di topi ve ne sono tre specie: alcuni sono chiamati dipodi; altri zegeri (é questo un nome libico, che in greco significa colline); altri ancora echinei. Vi sono anche le donnole che nascono nel silfio e sono molto simili a quelle di Tartesso. Questi sono gli animali che vivono nella terra dei Libici nomadi, per quanto a noi é stato possibile accertare, spingendo le ricerche il più lontano possibile. 193. A confine con i Libici Massi si trovano gli Zaveci, presso i quali sono le donne che guidano i carri quando vanno alla guerra. 194. Vicini a questi si trovano i Gizanti, ai quali le api producono abbondante miele; ma molto di più ancora é il miele che, a quanto si dice, fabbricano uomini industriosi (42). Tutti questi uomini si tingono di rosso e mangiano le carni delle scimmie che sono straordinariamente numerose sui loro monti. 195. Di fronte al paese di costoro, dicono i Cartaginesi, si trova l'isola che ha nome Ciravi, lunga 200 stadi, ma piuttosto stretta, che può essere raggiunta a piedi dal continente ed é tutta coperta di ulivi e di viti. In essa ci sarebbe un lago dal quale le fanciulle del paese, valendosi di penne di uccello intrise di pece, traggono delle pagliuzze d'oro che si trovano nel fango. Se ciò sia vero, non saprei dire: io scrivo quello che si racconta. Ma potrebbe essere anche tutto vero, dal momento che io stesso ho visto a Zacinto, estrarre della pece dall'acqua d'un lago. Là ve ne sono parecchi di laghi; ma il più grande di essi misura 70 piedi in ogni senso e ha una profondità di due orgie; in esso calano una pertica, alla cui estremità hanno legato un ramo di mirto e con questo mirto, appunto, estraggono la pece, che ha odore di bitume; ma per il resto é migliore di quella della Pieria (43). La versano, quindi, in una fossa scavata nei pressi del lago, e quando ne abbbiano raccolta una notevole quantità, dalla fossa la versano nelle anfore. Tutto ciò che cade nel lago, passando sotto terra, ricompare poi nel mare, che dista dal lago circa quattro stadi. Stando così le cose, dunque, anche ciò che si racconta dell'isola situata vicino alle coste della Libia, può essere conforme a verità. 196. I Cartaginesi raccontano questo particolare: che c'é una località della Libia e vi sono degli uomini, situati al di là delle Colonne d'Ercole, con i quali commerciano in questo modo: appena arrivati e sbarcate le merci, le dispongono in bell'ordine lungo la spiaggia; poi, imbarcatisi sui loro navigli, fanno salire del fumo; gli indigeni quando vedono il fumo, scendono al mare e, dopo aver deposto la quantità d'oro che offrono in cambio delle mercanzie, si ritirano lontano dalle merci stesse. I Cartaginesi, allora sbarcano e osservano: se giudicano che l'oro sia sufficiente a compensare le merci, lo prendono su e se ne vanno; se, invece, non sembra sufficiente ritornano di nuovo sulle navi e stanno in attesa. Quelli, accostatisi di nuovo, continuano ad aggiungere dell'altro oro, fino a che non li abbiano soddisfatti. Nessun inganno, né da una parte, nè dall'altra: né i Cartaginesi toccano l'oro prima che, a loro giudizio, abbia raggiunto il prezzo delle merci, nè gli indigeni toccano le merci, prima che quelli si siano preso l'oro corrispondente. 197. Sono queste le popolazioni della Libia che noi possiamo ricordare per nome: la maggior parte di esse né si preoccupa ora del re dei Medi, nè allora se ne dava pensiero alcuno. Solo quest'altra notizia posso ancora dare riguardo a questo paese: che, a quanto noi sappiamo, solo quattro stirpi lo abitano, non più; e, di queste, due sono native del luogo e due no, e precisamente, i Libici e gli Etiopi sono indigeni e abitano, i primi, la regione settentrionale della Libia; i secondi, la regione meridionale; i Fenici e i Greci, invece sono immigrati. 198. Secondo me, nemmeno per la fertilità del suolo la Libia è tale da essere messa a confronto con l'Asia e l'Europa, eccettuata solo la regione del Cinipo (il nome del fiume vale anche per designare il paese); questa, per la produzione dei cereali, può stare alla pari con i territori più fertili e non somiglia per nulla a tutto il resto della Libia, infatti la terra é nera e ricca di sorgenti; non ha da temere per la siccità, né ha da soffrire per eccesso di pioggia, poiché é da notare che in questa parte della Libia cade la pioggia. Quanto alla resa del grano é la stessa che si riscontra nel territorio di Babilonia. Fertile é pure il paese abitato dagli Euesperidi, poiché, quando la produzione é migliore, rende fino a cento per uno; la regione del Cinipo, invece, dà anche trecento per uno. 199. Anche il territorio di Cirene, che é il più elevato di questa parte della Libia occupata dai nomadi, ha una particolarità degna di nota, e cioé ha tre stagioni di raccolto. Primi, infatti, sono i frutti della zona costiera a maturare per la mietitura e la vendemmia; non appena questi sono stati raccolti, ecco che maturano e urgono per farsi cogliere i frutti della zona centrale che si stende a sud del litorale e che chiamano "le alture"; e quando i frutti di questa zona mediana sono stati raccolti, già si maturano e urgono quelli della parte più alta del paese: di modo che i primi frutti sono gustati e bevuti che già arrivano e sono pronti gli ultimi. Così per i Cirenei la stagione dei raccolti dura ben otto mesi. Ma di ciò basti quanto s'é detto. 200. I Persiani che dovevano vendicare Feretime quando, per ordine di Ariande, dall'Egitto giunsero a Barce, cinsero d'assedio la città, reclamando che venissero loro consegnati i responsabili della morte di Arcesilao; ma gli abitanti non accettarono nemmeno di trattare, dato che tutta la popolazione si proclamava responsabile del delitto. Allora i Persiani cominciarono l'assedio, che durò ben otto mesi, scavando delle gallerie sotterranee che dovevano portare entro la cinta delle mura e sferrando poderosi assalti. Però i loro lavori di scavo furono scoperti da un fabbro, per mezzo di uno scudo di bronzo, con questo accorgimento: portando in giro il suo scudo all'interno delle mura, lo appoggiava qua e là al suolo. Ora, mentre gli altri luoghi dove batteva rimanevano sordi, là dove, invece, il terreno era minato, il bronzo dello scudo ripercuotevea il suono. Scavando a loro volta in quel luogo, i cittadini di Barce uccidevano i Persiani intenti all'opera di scavo. In tal modo, dunque, il lavoro sotterraneo veniva scoperto e gli assalti erano rintuzzati dai cittadini. 201. Trascinandosi ormai in lungo la cosa, e poiché cadevano molti da ambo le parti, non meno nel campo persiano che nel campo avverso, Amasi, che comandava la fanteria, ricorse a questo stratagemma: convinto che quelli di Barce non si potevano vincere con la forza, ma si potevano prendere con l'inganno, ecco che cosa fa. Di notte, fatta scavare una larga fossa, vi stese sopra un tavolato poco resistente e sopra questo fece portare e distendere della terra in modo che la superficie risultasse pari al luogo intorno. All'alba, poi, invitò a colloquio i cittadini: essi volentieri acconsentirono e infine si decise di stipulare un accordo. Il patto che essi giurarono, sacrificando le vittime sopra la fossa coperta, era questo: fino a tanto che quella terra rimaneva così, sarebbe rimasto saldo l'accordo giurato e cioé i cittadini di Barca promettevano di corrispondere un giusto tributo al re e i Persiani di non fare più danno alla loro città. Dopo il giuramento, i cittadini pieni di fiducia nel patto, se ne uscivano tranquillamente dalla loro città e permettevano a chi voleva dei nemici di penetrare entro le mura, avendo spalancate tutte le porte. Ma i Persinai vi si precipitarono dentro di corsa, dopo aver distrutto il ponte nascosto. Essi abbatterono il ponte che avevano costruito, per non venir meno al giuramento prestato: avevano promesso a quelli di Barce che il patto sarebbe sempre rimasto saldo, finché la terra rimanesse così com'era allora; ma dal momento che avevano abbattuto il tavolato, non c'era più ragione che rimanesse immutato l'accordo. 202. Quando dai Persiani le furono consegnati i colpevoli, Feretime fece impalare intorno ai bastioni quei cittadini che erano maggiormente implicati nel delitto; e, alle loro donne fatte tagliare le mammelle, ne punteggiò tutto intorno le mura. Per gli altri abitanti di Barce, invitò i Persiani a farne loro preda, ad eccezione di quelli che erano discendenti di Batto e non erano responsabili dell'uccisione. A costoro, appunto, Feretime affidò il governo della città. 203. I Persiani, dopo aver resi schiavi gli altri che restavano in Barce, presero la via del ritorno; e quando furono all'altezza di Cirene, i Cirenei, per rispetto all'ingiunzione di un oracolo, li lasciarono passare attraverso la loro città. Durnate il passaggio, Badres, che comandava la flotta, consigliava di occupare militarmente la città; ma Amasi, comandante della fanteria, si oppose, facendo valere che Barce era la sola città greca contro la quale erano stati mandati: alla fine, però, quando l'ebbero attraversata ed erano già attendati sul colle di Zeus Liceo, si pentirono di non aver occupato Cirene. Tentarono, allora di penetrarvi per la seconda volta, ma i Cirenei non lo permisero e i Persiani, sebbene non si fosse impegnato alcun combattimento, furono presi dal terrore e, fuggiti via, posero il campo a circa 60 stadi di distanza. Mentre erano attendati in quel posto, venne un messo da parte di Ariande che li richiamava; essi chiesero ai Cirenei di fornire loro viveri per il viaggio e li ottennero; avutili, si allontanarono alla volta dell'Egitto. In seguito, però, li presero di mira i Libici, i quali, per impadronirsi delle loro vesti e dell'equipaggiamento loro, uccidevano quelli che venivano lasciati indietro e i ritardatari; finché posero piede in Egitto.

204. Questa spedizione persiana giunse, in Libia, al massimo fino ad Euesperide. I Barcei che erano stati fatti schiavi furono da loro tolti dall'Egitto e portati in esilio presso il re di Persia; il re Dario assegnò loro un villaggio della Battriana da abitare; e furono essi che diedero il nome di Barce a questo paese (43), che era ancora abitato ai miei tempi, nel territorio della Battriana.

205. Però, neppure Feretime pose fine degnamente alla sua vita. Infatti, era appena tornata in Egitto dalla Libia, dopo aver fatto quella vendetta contro i Barcei, quando morí di mala morte; poiché, ancor viva, fu tutta un brulicare di vermi: tanto é vero che le vendette eccessive attirano sopra gli uomini il risentimento degli dei. Tale fu, e tanto crudele, la vendetta di Feretime, moglie di Batto, contro gli abitanti di Barce.

(1) Megabazo che Dario, mentre conduceva la spedizione contro i Traci, aveva lasciato come comandante in Europa. Megabazo stava conducdendo una campagna per sottomettere quanti, nell'Ellesponto, non erano dalla parte dei Medi.

(2) (2) Erano così chiamati gli Argonauti perché erano partiti dalla città di Iolco (di cui era re Esone, padre di Giasone) che era il centro dei Mini di Tessaglia.

(3) Castore e Polluce, figli di Tindaro re di Sparta.

(4) Infatti Polinice, attraverso Edipo, Laio, Labdaco e Polidoro, discendeva da Cadmo.

(5) Aristodemo, marito di Argia, sorella di Tera. Da Argia e Aristodemo nacquero i capostipiti delle case regnanti a Sparta.

(6) L'odierna Santorini.

Era sorella di Cadmo e figlia di Agenore, il quale regnava in Tiro di Fenicia. Rapita da Zeus che aveva preso l'aspetto di toro, fu ricercata da Cadmo, il quale poi, giunto in Beozia vi fondò la rocca di Tebe.

(7) Navi da 30 remi.

(9) Termine generico ("coloro che abitano presso i monti") che indica la regione dell'Elide, nel Peloponneso, detta Trifilia ("terra delle tre tribù"). I Cauconi erano un popolo stanziato nella parte occidentale del Peloponneso.

(10) Che in greco significa, appunto, "pecora-lupo".

(11) Tisameno, il fondatore di questa famiglia, colui che a Tebe era venuto a Sparta, era nipote di Edipo e pronipote di Laio. Si dovevano placare le Erinni, perché Laio era stato ucciso da Edipo, Edipo offeso e maltrattato dai figli Eteocle e Polinice.

(12) Capostipite della famiglia dei Battiadi che regnò su Cirene, fondata appunto da Batto, dal 635 al 450 a.C..

(13) Apollo: Grino si rivolge direttamente al dio, di cui la Pizia non era che la portavoce.

(14) L'isola di Bomba, nel golfo omonimo, sulle coste della Cirenaica.

(15) All'imboccatura del Guadalquivir e il suo retroterra aveva una ricchezza favolosa.

(16) Navi a 50 remi.

(17) Apollo vi aveva condotto Cirene, figlia d'un re dei Lapiti, di cui s'era invaghito e che aveva rapito dal monte Pelio.

(18) L'isola di Platea era posta nelle acque della Libia, ma, si vede, non faceva parte del suo territorio.

(19) Intendevano dire che in quel luogo erano abbondanti le piogge.

(20) Il faraone Hophra, di cui Erodoto ha parlato nel libro II capitoli 161-169.

(21) Corrisponde all'odierna el Merj.

(22) Attribuendo la colpa del loro insuccesso all'autorità dispotica del re, cercavano una forma di governo che li salvaguardasse da eventuali altri colpi di testa da parte d'un individuo.

(23) Probabilmente si intendono i Libici, clienti o servi dei Terei, che cosituivano, forse, la vera aristocrazia di Cirene.

(24) Epiteto costante di Apollo, di incerta significazione: secondo alcuni, vorrebbe dire "obliquo" riferendosi all'ambiguità dei suoi responsi, secondo altri "splendente", dato che Apollo é il dio del sole e della luce.

(25) I Battiadi regnarono in Cirene dal 631 al 431 a.C..

(26) La città cinta dalle acque poteva essere tanto Barce quanto Cirene, entrambe, infatti, si protendevano in mare: Quanto al "toro", é inteso nel senso di "vittima sacrificale" e si riferirà al suocero di Batto, Alazir, come narrato nel capitolo seguente.

(27) Probabilmente ad opera della madre, che colà si era ritirata ed era esperta in crudeltà.

(28) Evidentemente Feretime era tornata a Cirene da Cipro, dopo che Arcesilao aveva ripreso il controllo della città.

(29) Secondo alcuni, invece, la colpa di Ariande consisteva nel traffico di argento, che, in rapporto con l'oro, era più pregiato in Egitto che in Persia.

(30) ??ß?e? era il nome greco per tutti i popoli ad ovest dell'Egitto, che trova riscontro nell'egiziano rbw (Lebu) nome di una particolare tribù attestata a partire dalla Diciannovesima Dinastia. I Greci presero forse il nome dagli Egizi, alla pari degli Ebrei (Lubim), anche se la presenza del nome LBY in ambito punico può far ipotizzare che i Libi stessi usassero il nome? con un valore generale

(31) Corrisponde all'odierno porto di Bardìa in Marmarica.

(32) Pianta pregiatissima e molto ricercta nell'antichità per le sue virtù medicinali e come ottimo condimento: la sua esoportazione era , forse, l'unica ricchezza di Cirene, che ne riprodusse, stilizzata, l'immagine nele monete: non si sa a quale delle nostre piante assimilarla; era un'ombrellifera e può darsi anche che sia scomparsa.

(33) Erodoto conosceva una sola Sirte, la Grande (Golfo di Sidra).

(34) Detta più tardi Berenice, corrisponde all'odierna Bengasi, nel cui territorio si trovavano i favolosi giardini delle Esperidi.

(35) Vento del sud.

(36) I Greci guardavano il Mediterraneo avendo le spalle a Nord, quindi, quando usavano il termine geografico "sopra", intendevano "a sud".

(37) I costumi di questa tribù discordano del tutto da quelli attribuiti dallo stesso Erodoto ai bellicosi Garamanti collocati più a ovest. Plinio riferisce le stesse notizie di Erodoto su questa tribù ad una popolazione denominata Gamphasantes, cosicché é probabile che i codici erodotei abbbiano equivocato un originale Gaµfasa?te?.

(38) Una delle estremità meridionali del Peloponneso, di fronte all'isola di Citera: con il Capo Tenaro, chiude il golfo Saronico.

(39) Identificata con la dea egiziana Neith.

(40) Abitanti dell'odierna oasi di Siva, che, però é a 20 giorni di cammino da Tebe.

(41) In segno di rispetto verso la dea Iside, che veniva rappresentata in forma muliebre con corna bovine, come dai Greci veniva raffigurata Io.

(42) Narra la leggenda che il troiano Antenore, navigando da Troia con Menelao ed Elena, sarebbe stato gettato dai venti sulla coste dell'Africa, nelle vicinanze di Cirene.

(43) Si tratta, probabilmente, delle antilopi.

(44) Regione della Tessaglia, dove si trovava la pece più pregiata fra i Greci.

(45) L'omonimia delle due località ha potuto suggerire a Erodoto questo racconto. Si è però dimostrato che i Barcei della Battriana sono da identificarsi con i Barcani, cioè gli Ircani.

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