del Gen. Giorgio Blais
L’idea mi era venuta l’estate prima, durante le mie lunghissime passeggiate senza una meta precisa nell’isola di Corfù. Camminavo per ore fra gli ulivi secolari, piantati ancora dai veneziani, e mi dicevo che avrei dovuto pormi un obiettivo particolare, uno scopo da raggiungere per dare un certo significato alle mie ore di marcia. Così ho cominciato piano piano ad elaborare un progetto, che con il passare delle settimane è diventato sempre più preciso. L’Italia! Avrei dovuto attraversare l’Italia, avrei dovuto percorrerla tutta, da nord a sud, a piedi e da solo.
Io ho sempre camminato, la fatica non mi ha mai spaventato e preferisco camminare da solo. Sia per tenere il mio passo, senza adeguarlo al ritmo degli altri sia, soprattutto, per essere solo con me stesso e avere tutto il tempo necessario per riflettere, meditare e, perché no?, pregare.
La partenza non poteva essere che dal Rocciamelone, la cui cima amo definire come il posto più bello del mondo, mentre l’arrivo mi sarebbe piaciuto fosse stato in Sicilia, dove la mia lunga carriera mi aveva portato nel 1986 come capo Servizi Trasporti e Materiali della Regione Militare. In Sicilia avevo apprezzato lo spirito degli alpini siciliani, a Palermo avevo conosciuto una splendida figura di alpino, Filippo Benizio Mignosi, ufficiale nella prima guerra mondiale –aveva 100 anni quando l’ho conosciuto ed è morto in piena lucidità a 108 anni! Da allora, la Sezione Sicilia continuava a mandarmi "La Sicilia Alpina", da cui ho appreso che la loro base logistica era al Piano Provenzana sull’Etna a 1800 metri. L’idea era nata!! Si trattava poi di darle uno scheletro, della linfa, dei muscoli.
Certo, non avrei potuto compiere questa camminata senza l’aiuto ed il suggerimento di qualcuno, che m’indicasse criteri e modalità, convenienze e opportunità. Logico che il sostegno lo chiedessi prima di tutto agli alpini. Cesare Di Dato, Riccardo Chiosso e Antonio Garraffo sono state le prime persone con le quali ho parlato di questo progetto. Cesare Di Dato mi ha dato la sua personale convinta ed entusiastica approvazione, parlandone poi con il Presidente Parazzini. Chiosso e Garraffo, Presidenti delle Sezioni di partenza e di arrivo, senza riserve mi hanno appoggiato in questa mia idea.
Durante le successive vacanze di Natale, quelle del 1999, ho passato ore e ore sulle carte d’Italia, quelle stradali al 200.000, ma non avevo di meglio, per cercare d’individuare le tappe che avrei dovuto effettuare. Mi ero ripromesso di camminare per circa 40 km al giorno, per sei giorni la settimana riposando la domenica, di evitare per quanto possibile le strade a traffico intenso e di fare la strada più breve, quindi niente montagne o vie Francigene, di cui pare l‘Italia stia abbondando (miracolo del Giubileo!). Avevo anche deciso di evitare le città più grandi, come Torino, Genova, Roma e Napoli.
La partenza mi sarebbe piaciuta farla il 16 giugno, giorno della conquista di Monte Nero nel 1915, impresa in cui cadde, con due medaglie d’argento, un mio zio, il Sottotenente del 3° alpini – battaglione Susa - Valerio Vallero. L’arrivo, secondo le indicazioni di Antonio Garraffo doveva essere di sabato, per potermi garantire un’accoglienza di rispetto, tenendo conto che sarei arrivato in periodo di vacanze.
Ho poi incontrato Giuseppe Parazzini che ha scritto a tutti i Presidenti delle Sezioni che avrei incontrato lungo il cammino (Torino, Cuneo, Alessandria, Genova, La Spezia, Massa Carrara, Pisa-Lucca-Livorno, Roma, Latina, Campania) chiedendo loro di darmi il sostegno che avrei richiesto. Alcuni Presidenti mi hanno contattato di loro iniziativa e vorrei solo citare il primo che mi ha telefonato ed al quale sono molto grato, Giacomo Vietti di Cuneo.
Naturalmente il programma che avevo abbozzato non era perfetto e ho ricevuto parecchi consigli soprattutto dai Capi Gruppo interessati al mio percorso che mi hanno suggerito alcune varianti, spostamenti e modifiche, ma il tutto sempre rimanendo nei limiti temporali che mi ero prefissato. Partenza il 16 giugno (non sapevo ancora che mio figlio avrebbe deciso di sposarsi il 17 giugno!) e arrivo dopo 42 tappe in cinquanta giorni, sabato 5 agosto. Che meravigliosa coincidenza! Arrivo sull’Etna proprio il giorno della festa della Madonna del Rocciamelone .........
Una volta stabilito il programma (il tragitto effettivamente percorso è riportato nella scheda annessa per un totale di 1.691 chilometri), si trattava di trovare le persone di buona volontà sul posto che volessero organizzare la cerimonia davanti al Monumento agli Alpini o ai Caduti. Sì, perché la mia camminata doveva avere uno scopo, che non era solo quello di portarmi in giro per l’Italia, ma anche di lasciare un messaggio, un messaggio che volevo forte e rilevante. Un fiore o una testimonianza da lasciare davanti al monumento per ricordare a tutti che quei Caduti, il cui nome singolarmente o collettivamente era inciso sul monumento, erano morti per l’Italia, per la nostra Patria e che l’Italia, dal Piemonte alla Sicilia, è una e indivisibile.
C’era anche un secondo messaggio da cui mi era piaciuto farmi accompagnare; si trattava di uno slogan, camminare è meglio che drogarsi, un messaggio da lasciare ai giovani che si fossero chiesti perché mai un vecchio generale attraversava l’Italia a piedi, da solo e con un cappello alpino in testa.
Gli alpini sono dovunque stati al di sopra di ogni aspettativa; diligenti e attenti, premurosi e pieni d’iniziativa, hanno informato sindaci e carabinieri, organi di stampa locali e altre autorità, hanno fatto conoscere ai loro concittadini che un anziano alpino, in pellegrinaggio di italianità, si sarebbe fermato davanti al Monumento per rendere onore ai Caduti. E, oltre a quello, hanno organizzato per me il pernottamento e la cena; non solo, ma anche il trasporto del bagaglio che non portavo a spalla alla tappa successiva. E questo bagaglio era numeroso, perché oltre ai miei ricambi, alla documentazione e a ciò che non portavo nello zaino, al seguito avevo anche lettere, materiale illustrativo e qualche libro che il sindaco di Susa mi aveva affidato da portare ai sindaci delle città in cui avrei sostato; avevo un centinaio di gagliardetti della Sezione Valsusa ed alcuni della Sezione Nordica (rappresentavo anche quella), gagliardetti della Provincia di Torino, gagliardetti del Lions Club Susa-Rocciamelone, opuscoli della Susa-Moncenisio, ed anche un ricco campionario di prodotti di Susa Galupa da portare in giro per l’Italia per far conoscere alcune specialità gastronomiche di Susa.
Intanto Riccardo Chiosso aveva lasciato la stecca di Presidente sezionale a Paolo Giuliano, dal quale ho sempre avuto il massimo sostegno possibile.
L’organizzazione di questa "sconsiderata passeggiata", che mi sono sempre rifiutato di chiamare impresa, è andata bene fin dove ho trovato gli alpini, ma da Roma in giù il problema si è fatto più serio. Dove non c’erano alpini, mi hanno soccorso i confratelli Lions oppure miei amici o i Sindaci, cui la segreteria del Comune di Susa si era rivolta direttamente a mio nome.
Anche la scelta dell’equipaggiamento migliore da indossare mi ha causato qualche problema e a questo proposito voglio ringraziare Sergio Vistarini, componente del servizio d’ordine dell’ANA e rappresentante dell’Adidas a Milano, che mi ha fatto dono di un paio di scarpe che ho tenuto ai piedi per tutta la durata della camminata. Altrettanti ringraziamenti vanno alla Cassa di Risparmio di Torino per il contributo simbolicamente significativo concesso.
Io, pur abituato a camminare, non mi ero mai cimentato in un’avventura simile, camminare così a lungo e soprattutto non in montagna, ma in pianura e spesso su asfalto.
Prima di partire, rimaneva ancora un punto da definire. Io desideravo partire dal Rocciamelone, ma desideravo farlo solennemente, ufficialmente, con un santo sacerdote che mi benedicesse. Appena don Trappo ha saputo della mia intenzione ha subito detto: "Vengo io." Io l’ho guardato con una certa stupita ammirazione, perché don Rinaldo Trappo, cappellano militare, classe 1917, reduce dalla Russia, a ottantatré anni dichiarava di voler salire sul Rocciamelone. E così è stato, anche se la cerimonia di partenza è stata fatta ai 2.800 metri di Ca’ d’Asti, perché un’improvvisa nevicata sconsigliava di arrivare in vetta.
Finalmente arriva il 16 giugno, saliamo a Ca’ d’Asti e si celebra una commovente cerimonia. Quanta gente! Il Sindaco di Susa con il suo figliolo, il vice sindaco di Mompantero, tanti alpini di Gruppi della valle e della provincia con gagliardetti, il segretario della Società Militare con gagliardetto, componenti del direttivo sezionale. Don Trappo celebra la Messa, prega per l’anima di Valerio Vallero e per tutti quelli che, italiani o austro-ungarici, hanno lasciato la vita sul Monte Nero, fa leggere a me la "preghiera dell’alpino", poi mi fa inginocchiare e mi benedice dicendomi di andare per l’Italia come un pellegrino e di portare a tutti gli italiani le belle parole che gli alpini d’Italia sanno dire.
Purtroppo don Trappo pochi giorni è incorso in un incidente di macchina, di cui sta ancora portando le conseguenze.
Discesa a Susa, breve cerimonia davanti al Monumento all’Alpino con il Coro Alpi Cozie che canta "Spunta l’alba del sedici giugno ..." poi a casa, mi cambio e faccio una piccolo diversivo partendo subito per Lugano, dove mio figlio si sarebbe sposato l’indomani. Matrimonio effettuato, ritorno a Susa, ringraziamenti a mia moglie e a mio fratello che tanto mi hanno aiutato specie negli ultimi convulsi giorni (io stavo lavorando ad un impegno accademico sul quale passavo le notti) e finalmente alle otto di lunedì 19 giugno esco dal portone di casa. Alcuni alpini del Gruppo di Susa e giornalisti della Valsusa e di Luna Nuova mi aspettavano per augurarmi il buon viaggio.
Se la parte organizzativa è stata interessante e piena di novità, l’effettuazione della camminata è stata un’esperienza affascinante. Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, giorno dopo giorno, andavo e andavo, macinavo strada, prendevo appunti, parlavo con la gente che mi riconosceva e mi salutava, mi tenevo in contatto con il mondo tramite il mio telefono cellulare.
Ma il mio mondo era, a dire il vero, la strada che avevo davanti. Che emozione scoprire l’Italia! Che sensazioni vedere posti anche conosciuti, ma con occhi diversi, gli occhi di un pellegrino incantato che beveva ogni scorcio di un’Italia bellissima ma anche sporchissima.
Camminavo sempre a passo svelto, con il mio fedele bastone nella mano destra, sulle spalle lo zaino con la scritta ROCCIAMELONE-ETNA (opera di mia figlia) su cui svettava il cappello con la penna bianca bene in vista (lo indossavo solo in prossimità dell’arrivo); la mia media era di circa sei chilometri e mezzo all’ora, facevo i miei programmi in base all’ora in cui le autorità comunali chiedevano che io arrivassi. Normalmente era verso le 18, ma in una tappa, ad esempio, a Grosseto, mi hanno chiesto di arrivare a mezzogiorno (il vice sindaco quel giorno non era disponibile ad altro orario) e quindi quella volta mi sono alzato alle tre di notte per partire alle quattro.
Come ho detto, la mia media giornaliera era di 40 chilometri, ma – per la statistica- la tappa più lunga è stata da Cecina a Piombino il 4 luglio: 51 chilometri.
Ho sempre avuto accoglienze fraterne, festose, a volte addirittura pressanti. A Levanto, ad esempio, in una magnifica tavolata di alpini in mio onore, sono stato costretto ad alzarmi alle undici -a cena non ancora conclusa- perché avevo bisogno di andare a dormire. A Viareggio il Gruppo alpini ha organizzato una favolosa cena a base di pesce all’aperto, a Piombino un bravo alpino, Vincenzo Mistretta, ha invitato nella sua campagna un gruppo di amici per una simpatica cena rustica per festeggiarmi.
Ma ogni tappa faceva storia a sé; non sapevo cosa mi sarebbe capitato all’arrivo, chi avrei trovato ad accogliermi, come si sarebbe svolta la cerimonia, chi mi avrebbe ospitato, dove e con chi avrei cenato. L’unica cosa che sapevo per certo era che avrei reso onore ai Caduti di quella città e che avrei ricordato a tutti che l’unità d’Italia non si tocca. E che sarei stato l’ambasciatore di Susa e della valle, il testimone degli alpini e dei Lions della Valsusa. Nel mio cammino ho trovato poca gente che conoscesse Susa e quasi nessuno il Rocciamelone (tranne a Paola, dove tutti quelli con cui ho parlato sapevano tutto delle nostre zone) ma ... ho fatto buona azione di propaganda.
Devo dire che quello che mi ha veramente colpito è stato, da Susa a Linguaglossa, il sentimento di partecipazione delle persone, autorità e popolazione, che presenziavano alla cerimonia. Sentimenti di ammirazione, di stupore, a volte di entusiasmo, a sentire questo ufficiale ormai pensionato che parlava di Patria e di sentimento nazionale, non con toni retorici, ma al termine di una impegno giornaliero faticoso e convinto. Sto attraversando l’Italia con un tricolore lungo 1.700 chilometri, per affermare che l’Italia è una e noi siamo tutti fratelli dicevo e la gente mi ascoltava e mi applaudiva con commozione, i sindaci m’invitavano a ritornare nella loro città.
Gli italiani hanno fame di Italia è il messaggio che mi sono permesso far giungere al Presidente della Repubblica, tramite il suo Consigliere militare.
Dicevo dell’ospitalità che ho ricevuto. Sono stato ospitato molto spesso in case private, a Neive e a Sangineto addirittura dal sindaco, quasi sempre da alpini, ma anche da Lions, colleghi e amici. Ho dormito in istituti religiosi, come a Gaeta, in sistemazioni militari, come a La Spezia, a Civitavecchia, a Reggio Calabria ed a Messina, in alberghi, dai lussuosissimi a 5 stelle, come a Palmi, a quelli senza bagno in camera. Ho trovato di tutto e mi sono divertito molto a vivere in modo così rustico, all’alpina, sempre contento di quello che trovavo, ma soprattutto contagiato dall’atmosfera di calore e di simpatia che mi sentivo attorno.
La stampa, specie quella locale e le televisioni regionali hanno dato un certo risalto alla mia "passeggiata". Sulla Stampa Giorgio Calcagno, che ha camminato con me gli ultimi chilometri prima di arrivare a Campo Ligure, mi ha dipinto in un suo servizio quasi come un novello Duca degli Abruzzi ("Il generale che vuole unire l’Italia"), il Tempo di Roma mi ha paragonato a Forrest Gump, il Mattino commentava il mio arrivo a Salerno con un simpaticissimo titolo a tutta pagina: Salerno invasa dall’alpino solitario. A Reggio Calabria mi hanno definito "quel pazzo re Giorgio", Franco Piccinelli, che cura una rubrica sulla Gazzetta del Mezzogiorno ha parlato di me in un servizio sui nonni che non vogliono invecchiare, un settimanale come Grand Hotel, mai da me in passato considerato, mi ha fatto un’intervista ed ha pubblicato un servizio che è il più completo e obiettivo che sia stato fatto sulla mia camminata.
I miei cinquanta giorni di avventura sono costellati da episodi divertenti ed istruttivi, come la stanza in cui ero sistemato una notte (il salottino buono con una brandina) in cui la pendola suonava tutte le mezze ore, come il bambino a Marina di Massa che mi ha chiesto se il mio cappello era da alpino o da Robin Hood, o come il carabiniere a Napoli che si è meravigliato che io non sapessi che Simon Le Bon dei Duran-Duran si era sposato proprio a Napoli. E poi la gente che mi chiedeva autografi o che si voleva far fotografare con me, quelli che mi offrivano da mangiare e da bere, quelli che mi invitavano a tornare. Un ristoratore di Castagnito d’Alba, Gino Rolando, della Cantinetta, non solo mi ha abbondantemente rifocillato, ma mi ha incontrato altre due volte durante il viaggio, al Lido di Ostia e verso Pozzuoli, perché intanto era sceso in vacanza con il suo camper verso il sud dell’Italia e si teneva in contatto con me per sapere dov’ero. Il Capo Gruppo di Salerno, Sabatino Landi, mi ha scortato da Amalfi a Sapri per un’intera settimana, tanto sono stato nella lunghissima provincia di Salerno. A Sangineto, provincia di Cosenza, ho trovato un sindaco alpino, il bravissimo e generoso Bruno Midaglia. Voglio anche ricordare Antonio Morelli, un geniere alpino di Minturno, provincia di Latina, che mi ha incontrato al mio arrivo a Gaeta e, preso da grande simpatia per la mia avventura, ha chiesto le ferie ed a spese sue è venuto fino a Linguaglossa e poi sull’Etna per salutarmi e fotografarmi. Adesso lo aspetto a Susa per ricambiare la sua gentilezza.
A Susa è già venuto a trovarmi Guido Vanni, artigliere da montagna della Tridentina, di La Spezia, che mi ha accompagnato per una paio di tappe, da Levanto a La Spezia e poi fino a Carrara, facendo anche lui parecchie fotografie. Sono centinaia le persone che ho incontrato, nuovi amici che non scorderò più.
Così come tanti sono gli aspetti culturali capitati nel mio viaggio: sono passato davanti alla casa natale di Cesare Pavese a Santo Stefano Belbo, alla casa dove è morto Sem Benelli a Zoagli, all’albergo dove è morto Salvatore Quasimodo ad Amalfi, alla fortezza a Pizzo Calabro dove è stato fucilato Gioacchino Murat, alla villa di Giuseppe Berto a Capo Vaticano, perfino alla casa dei nonni di Salvatore Quasimodo a Roccalumera, l’ultima residenza del poeta in Sicilia. Posti, luoghi, facce, episodi, tutti indimenticabili.
Sono stato incoraggiato da molte telefonate durante la camminata, amici vecchi e nuovi, ma anche autorità, e vorrei ringraziare fra gli altri il Vescovo di Susa, il Sindaco di Susa, il Presidente sezionale Paolo Giuliano, il caro amico e sostenitore Cesare Di Dato e tanti alpini, tanti Lions. Mi hanno dato slancio.
Molti mi hanno chiesto se mi sono stancato molto e come ho reagito fisicamente. Bene, ho reagito bene. Pur senza allenamento specifico non ho accusato la fatica e oltre tutto nelle ore calde della giornata, fra le una e le tre, non camminavo. Mi fermavo all’ombra e riposavo. Ho sofferto ai piedi, specie nella prima metà del percorso. Ma non era un problema particolarmente serio. Bastava stringere i denti e si camminava anche con qualche sofferenza. In fin dei conti non era altro che una passeggiata, sia pure sconsiderata! La mia preoccupazione era invece per i muscoli delle gambe. Le ore di camminata sull’asfalto avevano, infatti, indurito i muscoli e temevo che una contrattura mi bloccasse. Ho consultato due medici lungo la strada, a Carmagnola Ermanno Turletti, past governatore distrettuale dei Lions, e a Livorno Mauro Favro, figlio di Arsenio Favro che per lunghissimi anni è stato sindaco di Susa: entrambi mi hanno detto che l’unica soluzione sicura era il riposo. Se non potevo fermarmi dovevo sperare nella buona sorte. Ho avuto questa buona sorte e mi piace credere che sia stata la Madonna del Rocciamelone che mi ha aiutato. In fin dei conti camminavo anche in suo onore!
All’arrivo a Linguaglossa, quando la sera del 4 agosto hanno organizzato una grande cerimonia per me, prima al Monumento ai Caduti con il Sindaco con fascia tricolore alla presenza dei Generali Bruno Loi, Comandante militare della Sicilia, e Giorgio Piccirillo, Comandante dei carabinieri siciliani, poi in chiesa e poi al municipio, a un certo punto mi si è avvicinato un ufficiale medico dell’ospedale militare di Palermo che mi ha chiesto come avessi fatto, alla mia età, a compiere questa impresa. Gli ho detto che prima di tutto mi meravigliavo che proprio un dottore mi facesse quella domanda, ma che la risposta era che la camminata, prima che con le gambe, l’avevo fatta con la testa.
Ma non ostante la testa, in due momenti mi sono commosso, veramente commosso. La prima volta quando lungo le coste calabresi il 31 luglio, prima di arrivare a Bagnara Calabra, ho nettamente e distintamente visto le coste della Sicilia. Non è possibile, mi sono detto; non è possibile che, partito da Susa, sia arrivato fino a qua, che abbia veramente attraversato tutta l’Italia. E la seconda volta, il 5 agosto al Piano Provenzana, quando all’arrivo, dopo l’abbraccio con Antonio Garraffo e l’alzabandiera, ho dovuto dire qualche parola. Avevo tanta gente davanti a me, gli alpini siciliani, Antonio Morelli, una persona cara e commossa, giornalisti e teleoperatori, turisti, il sindaco di Linguaglossa (che di cognome fa Rosta), amici Lions. Le parole non mi uscivano e a mala pena ho balbettato che ero soddisfatto di aver compiuto il mio pellegrinaggio di italianità e di fratellanza e non sono riuscito a dire che mi sentivo più italiano di prima.
Credevo di essere diventato famoso, o almeno noto. Invece una signora di Linguaglossa, incontrata in paese, mi chiede con aria sospettosa: "Ah, è lei quello che è venuto a piedi dal Piemonte alla Sicilia? Ma quando è stato? Durante la guerra?"
giorgio blais