IL GIURAMENTO
Diario febbraio - marzo 1965
preceduto da due antefatti



 

PREMESSA

Il testo che segue non è né un racconto di fantasia, né la mia odierna esposizione di ricordi di eventi lontani. Esso è la mera trascrizione letterale di un quadernetto nel quale un giovane Ufficiale frequentatore dell'Accademia Navale negli anni '60 ha annotato giorno per giorno gli aspetti salienti di una sua vicenda alquanto singolare ed atipica.
Le considerazioni in esso espresse e gli eventi che vi vengono riferiti, pertanto, potrebbero non corrispondere interamente, né alle mie valutazioni odierne (inevitabilmente influenzate dai circa 40 anni di esperienza che mi separano da quegli anni acerbi), né alla memoria che ne hanno conservato gli altri personaggi citati. Si tratta, in definitiva, della rappresentazione soggettiva di quegli eventi, così come vennero allora percepiti dal loro giovane ed ardente protagonista.
Il diario relativo alla vicenda centrale, quella del giuramento, è stato preceduto dalla descrizione di due antefatti che non appaiono del tutto pertinenti. Probabilmente l'autore aveva annotato quei due episodi ritenendoli significativi, perlomeno quale scenario iniziale di riferimento, anche se la questione del giuramento aveva un respiro ben più ampio delle transitorie insofferenze contingenti. In ogni caso, ho preferito lasciare anche questa parte, per non venir meno al criterio della trascrizione fedele dell'intero quadernetto (senza nulla correggere e nulla alterare).
Peraltro, l'adozione del predetto criterio mi ha costretto a lasciare inalterate alcune parti che avrei senz'altro preferito "limare", come ad esempio quel commento sul
"Pagaia" nelle primissime righe (ho infatti avuto modo di conoscerlo molto meglio dopo l'Accademia, ed a lui va ora tutta la mia simpatia).

 

INDICE
 

I.  

Due antefatti (Livorno, 25 novembre 1964 e 31 gennaio 1965)

II.  

Il giorno del Giuramento del Corso (Livorno, 2 febbraio 1965)

III.  

Isolamento in infermeria (Livorno, 3-5 febbraio 1965)

IV.  

Via dall'Accademia (Livorno, 6 febbraio 1965)

V.  

Inizio della Licenza illimitata (Roma, 7-9 febbraio 1965)

VI.  

L’Ammiraglio Lubrano (Napoli, 10 febbraio 1965)

VII.  

La «comprensione» dei Vertici (Roma, 11 febbraio - 2 marzo 1965)

VIII.  

La verifica dell'idoneità (Roma, 3-13 marzo 1965)

IX.  

La decisione finale (Roma, 15-20 marzo 1965)

X.  

Rientro e Giuramento (Livorno, 22 marzo 1965)
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I. DUE ANTEFATTI

1° ANTEFATTO (il K2) - Livorno, 25 novembre 1964

Sono stato chiamato dal C.V. Tommasini, il nuovo Comandante in Seconda di questo Istituto. Mi trovo insieme ad altri tre colleghi, dei quali Dino Saitto è mio amico, mentre gli altri due, “Sciolt” e “Pagaia”, mi sono l’uno indifferente e l’altro decisamente odioso. Sembra che il motivo della nostra chiamata sia da attribuire al fatto che la tabellina dei voti presi in conferenza (che viene esposta tutti i giorni) era composta da tutti voti rossi (insufficienze): Sciolt 7, Pagaia 7, Dino 7 e 9, ed io un 9.
Prima di entrare mi rivolgo al Comandante Alberini:
“Comandante, ma cosa si vuole da noi?”
E lui, ironico: “Mah! Forse elogiarvi …
- Ma, Comandante, qui si sta creando una strana atmosfera… Sembra quasi che pretendano che ci mettiamo tutti a studiare! Mentre è noto che, in IV Classe, non bisogna fare proprio niente …
- Si … lo vada a dire al Comandante in Seconda!”

Mi limito a sogghignare con gli altri.
Il nostro Direttore agli Studi, dopo averci fatto fare una lunga “anticamera” insieme al nostro Comandante, che è un Ufficiale Superiore (basta questo per dare un’idea dell’educazione del “nostro”), esordisce mostrandosi molto stupito della nostra scarsa applicazione nello studio (perché, da quella unica insufficienza presa, appare chiaramente che non abbiamo ancora aperto nessun libro), anche perché ormai non siamo più Allievi, ma Aspiranti, e presto non saremo nemmeno più Aspiranti giacché deve arrivare entro un paio di giorni la promozione al grado di GM, per noi, naturalmente, immeritato.
Non solo, ma non studiando non ci rendiamo conto che a bordo saremo degli incapaci, perché ci mancheranno le basi per diventare degli Ufficiali efficienti.
A questo punto non posso fare a meno di interromperlo:
“Comandante, noi a bordo ci siamo stati! E, per quanto mi riguarda, sebbene in Accademia io non abbia mai brillato negli studi, nel mio servizio (ero Ufficiale addetto alla Cifra) me la sono cavata molto bene, tant’è vero che il mio Capo Servizio mi ha dato l’“Ottimo” alla fine della Crociera.
D’altra parte, anche l’Ammiraglio Paladini ci diceva l’anno scorso (a Saitto e a me) che uno poteva benissimo diventare un ottimo Ufficiale di Marina dopo essere stato un mediocre Allievo dell’Accademia.”

(L’Amm. Paladini si riferiva ad uno che aveva ripetuto un anno in Accademia, e che, durante la carriera, aveva superato tutti in graduatoria).
Il Comandante in Seconda mi interrompe dicendo che quell’“Ottimo” chissà come lo avevo preso … Forse nascondendo abilmente la mia incapacità, o forse perché, avendo fatto un po’ meglio del solito schifo, avevo prodotto una grande impressione che avrebbe causato un giudizio eccessivamente positivo da parte dei miei superiori …
Continua poi dicendo che, per questo motivo, non si può dire nulla, poiché la nostra esperienza a bordo è stata scarsa. Infatti, senza una vera preparazione, non avrei potuto combinare nulla di buono.
Dà poi uno sguardo alla mia “pandetta”, facendomi notare le numerose insufficienze prese, al che io gli faccio un cenno d’assenso, come per dire: “Vede? Non ho mai studiato.”
Mi viene allora vicino, con la faccia congestionata e gli occhi da pazzo, e mi chiede:
“Perché ci sono tante deficienze?
- Non ho mai studiato molto …
- Bisogna studiare! Lei è pagato per questo, anche se Lei è disposto ad ottenere insufficienze pur di mantenere quel Suo atteggiamento di superiorità …”

Si rivolge poi al Comandante Alberini:
“Comandante, gli dia cinque giorni d’arresti, in modo da potergli consentire di meditare sull’utilità dello studio …”
Torna a rivolgersi a me:
“E Lei si prepari, ha capito? Si prepari, perché voglio che si faccia interrogare fra quindici giorni …”
Considerando concluso l’argomento con me, prosegue nella sua “filippica”, ripetendosi continuamente: senza una adeguata preparazione saremo dei falliti come Ufficiali di Marina; le deficienze che abbiamo preso stanno proprio a testimoniare del nostro scarsissimo impegno.
Seguendo il mio esempio, Dino Saitto interrompe il “nostro”, dicendo che non sempre un voto alle interrogazioni rispecchia una vera e propria ignoranza della materia, poiché molte interrogazioni si riducono ad una sola domanda.
Il Comandante in Seconda ci pensa un po’ e riesce finalmente ad obiettare che, nel caso di Dino, non sembra una scusa plausibile, poiché ha ottenuto due deficienze.
Dino spiega allora che una di esse è dovuta ad una sola domanda, e l’altra, invece, alla sua impreparazione. Poiché il K2 incomincia già ad ironizzare sul fatto, egli risponde subito che non riesce a studiare quelle materie (Elettrotecnica, Elettronica) poiché non ne vede la applicazione pratica nel nostro lavoro a bordo, sostenendo che in compenso lui è sempre andato bene nelle materie professionali.
Anche su questo il Comandante Tommasini trova il modo di ironizzare, dicendo che chissà come aveva fatto a prendere dei voti così brillanti agli esami, dopo un anno accademico (lo scorso) così mediocre, insinuando che, probabilmente, non erano meritati.
Va poi alterandosi sempre di più, giungendo a gridare:
“Ma Lei, che è l’ultimo arrivato, come si permette di criticare i programmi di studio, fatti dai Suoi superiori?”
e rivolgendosi al Com. Alberini prende gli stessi provvedimenti adottati per me, dicendo che vorrà assistere alle nostre interrogazioni.
Poi, sempre gridando: “Ma Loro, cosa sono venuti a fare in Marina? Qual’era l’ideale, il profilo dell’Ufficiale di Marina che avevano davanti?”
Ce lo dice come se, dopo 3 anni di Marina, sia ancora possibile dubitare della nostra passione … E poi c’è lui, davanti a noi, quell’essere piccolo, grassottello, rosso, congestionato, con gli occhi fuori dalle orbite ed i capelli incredibilmente bianchi: certo non era quello l’Ufficiale di Marina Ideale che potevamo aver sognato …
Gli altri non dicono niente. Continuando nella sua esposizione, si rivolge a D.S. dicendo che in tutti i campi bisogna studiare per essere all’altezza del proprio compito.
“Lei cosa vorrà fare? In che cosa si vorrà specializzare?
- Ardito Incursore!”

Crediamo vederlo morire, ma si riprende e continua a tergiversare per non far vedere che ha fatto la figura dell’Imbecille …

* * *

2° ANTEFATTO (il K1) - Livorno, domenica 31 gennaio 1965

Dopo la visita dell’Amm. di Divisione Birindelli (nuovo Capo di Maripers) all’Accademia Navale; dopo il discorso che il suddetto Ammiraglio ci ha tenuto sui “cani da guardia” (Forze Armate) che sono meglio dei “Bassotti” e dei “Pechinesi” (cantautori e tutti gli altri idoli moderni), è prevista una riunione del Corso nella Sala Ritrovo Allievi, per un brindisi con il Comandante dell’Accademia per il nostro nuovo grado di G.M.
L’Ammiraglio Vivaldi, che, oltre a vantare una straordinaria somiglianza con il Provenzale Fernandel, ci ha sempre molto stupito per la sua assoluta mancanza di collo, mancanza che non gli consente nessuna rotazione della testa (sebbene alcuni di noi pensino che siano possibili rotazioni infinitesime dovute agli immancabili laschi della attaccatura della testa sulle spalle), è arrivato con un discreto ritardo.
Eravamo tutti schierati in grande uniforme, e, appena arrivato, non ha potuto fare a meno di osservare: “Queste sciarpe sono molto in disordine … Non penseranno certo di presentarsi in queste condizioni a bordo, quando saranno imbarcati!”
Prima grande cafonata. Oltretutto si tratta di una cosa inesatta poiché è noto che a bordo tutti gli Ufficiali circolano in una tenuta molto approssimativa (dovuta alle difficili condizioni ambientali), che non ha nulla di simile alla tenuta in cui ci troviamo noi.
Il Comandante Alberini, che aveva particolarmente curato il nostro rassetto, si limita a stringere le labbra. L’Ammiraglio Vivaldi ci concede poi di stare sul “riposo” ed inizia dicendo che, contrariamente a quanto ci aveva detto al ritorno dalla crociera, ora non è per niente soddisfatto di questo Corso.
Le numerose deficienze prese in tutte le materie stanno ad indicare che noi non studiamo.
Ci stiamo quindi dimostrando immaturi, perché se uno non fa il proprio dovere è un “fanciullo”, e quindi quasi quasi lo facciamo pentire di averci fatto promuovere G.M.
Come se la promozione ce l’avesse data lui! La promozione è dovuta ad una legge, e poiché avevamo tutti i requisiti richiesti dalla legge non vedo proprio in quale misura c’entri l’approvazione del Comandante dell’Accademia.
Minaccia poi di darci nuove sanzioni, di diminuirci i giorni di franchigia e di toglierci la licenza di Pasqua.
Si fa poi improvvisamente generoso, dicendo che, poiché c’è anche qualcuno che fa il proprio dovere, brinda con questi ultimi al grado che ci hanno dato.
Mentre brindiamo anche noi, con dello scadentissimo spumante nazionale, si intrattiene con il Comandante Alberini e con il nostro Capo Corso per continuare i suoi rimproveri, le sue rimostranze e le sue minacce fuori luogo.
Era proprio quello il momento per comportarsi così?





II. GIORNO DEL GIURAMENTO DEL CORSO (2 febbraio 1965)

GIURAMENTO

Tutti gli Ufficiali della IV Classe sono schierati nella Sala Ritrovo Allievi, dove è stato posto un tavolo coperto con la Bandiera e su cui si trovano i fogli di carta da bollo da 400 £ con la formula del Giuramento stampata. Dietro al tavolo: K2, K3, il C.C. Alberini, e due Ufficiali Superiori (del G.N. e delle A.N.).
Eseguito il saluto (al berretto), l’Ufficiale consegna la sciabola al K2, legge la formula del giuramento:


… firma il foglio, riprende la sciabola che gli viene consegnata dal K2, fa un passo indietro, saluta con la sciabola, fa il “dietro-front”, e se ne va ringuainando la sciabola.
Il Comandante Alberini chiama successivamente tutti gli Ufficiali, in ordine di graduatoria.
Viene il mio turno. “Guardiamarina Carro!”
Mi avvicino al tavolo con la sciabola sottobraccio. Saluto, e mi rivolgo al Comandante in Seconda (che presiede la cerimonia):
“Comandante, i miei principi non mi consentono di firmare un giuramento di questo genere”.
Perplessità generale. Il K2 non capisce, invece, e sono costretto a ripetere.
“Per il momento vada a rigore, poi ne riparleremo!”
Esco. Devo essere piuttosto pallido, perché il Sottufficiale fuori dalla porta crede ch’io sia uscito perché mi sono sentito male.

* * *

1° COLLOQUIO CON IL C.C. ALBERINI

Dopo essermi recato in cameretta, cerco di rilassarmi il più possibile, in vista dei prossimi probabili interrogatori.
In effetti non si può dire ch’io sia molto calmo, poiché mentre stavano giurando alcuni miei compagni che sono davanti a me, in graduatoria, di soli pochi posti, sentendo avvicinarsi il momento del mio giuramento, il mio cuore si è messo a battere all’impazzata, tanto da farmi temere di sentirmi male da un momento all’altro. Anche in quel momento, per poter superare la crescente tensione, ho dovuto ricorrere ad un rilassamento forzato (cessando la respirazione e rilassando il più possibile tutti i muscoli).
Dopo la fine della cerimonia, un certo numero di miei amici entra in cameretta, ma non ho tempo di spiegare nulla poiché subito dopo vengo chiamato dal Comandante Alberini.
Vado in Segreteria, e lui mi chiede subito: “Carro, e allora?”
Io gli spiego perché non posso giurare fedeltà a Saragat, visto che è marxista, e visto che, nell’eventualità d’un colpo di Stato della destra, io mi metterei contro Saragat. Alberini mi dice che potrebbe anche condividere le mie idee, ma che, in ogni caso, nell’eventualità d’un cambio di regime, le FF.AA. vengono prosciolte dal giuramento.
Sarà … ma io insisto nel dire che anche nell’intervallo di tempo fra vecchio e nuovo regime, io sarei dalla parte dei ribelli.
Mi scuso poi per non averlo avvertito prima, come sarebbe stato più corretto, ma volevo rendere irrevocabile il mio rifiuto; mentre, altrimenti sarei stato sottoposto a pressioni dai superiori.
Alberini sembra capire, e dice che non ha importanza.
Mi accompagna poi alla Palazzina Comando.
Strada facendo io gli chiedo: “Comandante, come l’hanno presa?”
Lui dice che non lo sa, ma che naturalmente saranno rimasti tutti molto perplessi.
Gli dico allora che mi dispiace molto lasciare l’Accademia in questo momento, tanto più che la prossima crociera sul Corsaro II, alla quale avrei quasi certamente partecipato, mi avrebbe entusiasmato. Mi chiede allora:
“Ma non è che si era stancato di questa vita?
… Parliamoci chiaro, Mimì!”

Gli do ragione, in parte, ma preciso che non è questo il motivo principale del mio rifiuto.
Entriamo nel Fabbricato Allievi.

* * *

COLLOQUIO CON COMANDANTE IN III^

Il Comandante Monassi esordisce dicendo subito che mi parla senza tener conto della differenza di grado: mi dice che aveva già apprezzato le mie doti di carattere, ma che questa volta non mi capisce. Dice anche che sebbene io non abbia mai brillato negli studi, era disposto a passarci sopra, in quanto mi ero sempre comportato bene in tutte le attività. Passa poi al caso attuale, confessando di non sapere esattamente le conseguenze del mio gesto, ma suppone che prima mi metteranno sotto processo, poi mi degraderanno, e quindi passerei come militare del CEMM. Se non giurassi nemmeno come marinaio, andrei in prigione come renitente, obiettore di coscienza, o qualcosa del genere.
Dice poi che ho avuto torto di attribuire eccessiva importanza alla formula “Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana ed al suo Capo”, poiché si tratta d’un modo di dire.
Infatti ora si va all’attacco gridando “viva l’Italia!” e non “viva Saragat” (come una volta si diceva “Savoia!”). Poi si altera sempre di più ed incomincia a sbattere i pugni sul tavolo gridando: “Cosa crede? Che io sia uno schiavo di Saragat? Io non lo conosco questo Saragat! Per me Saragat non esiste! Queste stellette stanno a rappresentare la Bandiera, la Patria … non Saragat!”
E continua sempre su questo tono, come per giustificare il fatto che lui rimane in Marina, con tutto Saragat. Mi chiede poi perché me ne sono andato adesso, e non subito dopo le elezioni; e se invece si tratta di un pretesto per andarmene, perché ho firmato la ferma di 6 anni.
Ripeto che io non me ne volevo affatto andare dalla Marina, né mi andava di rimangiarmi un giuramento fatto. Ma poiché si trattava ora di rigiurare, non me la sentivo di firmare un giuramento che, in coscienza, non avrei voluto mantenere.
Riprende a gridare: “E se scoppiasse una guerra? Cosa farebbe Lei? Andrebbe all’estero, come Saragat?” Nego decisamente: in caso di guerra farei il mio dovere di cittadino, anche con Saragat, Nenni o Longo al potere, ma ora che siamo in pace, non posso prestare volontariamente il mio servizio sotto le armi, giurando fedeltà ad un uomo di cui non mi fido, poiché durante il Fascismo, quando l’Italia era in pericolo (secondo la sua ideologia marxista), non aveva trovato di meglio che abbandonarla, anzi complottando contro l’Italia di allora, in combutta con gli Inglesi, i nemici di allora.
Continua a darmi torto, e mi congeda ricordandomi che sono agli arresti di rigore.

* * *

COLLOQUIO CON IL COLONNELLO MEDICO

Rientrato in cameretta, mi vengono a dire che il Colonnello Medico mi aspetta in infermeria. Mi reco subito nel suo ufficio, dove mi fa accomodare in poltrona, e si siede anche lui insieme con un altro Col. Medico, che lo sostituirà nella carica fra qualche giorno. Iniziano a parlarmi in modo pacato, premettendo che non sono degli inquisitori, ma solo dei medici che si vogliono rendere conto.
Mi chiedono se ci sono altri motivi al mio rifiuto di giurare.
Rimaniamo circa un’ora e mezza insieme, durante le quali io rimango sulle mie posizioni, mentre loro mi dicono che sarebbe molto più comprensibile ch’io dicessi di essere stanco della vita militare (e me ne andassi per “incompatibilità di carattere” con la vita militare), oppure che dicessi di essere esaurito (e me ne andrei per esaurimento nervoso).
Si tratta di un vilissimo tentativo per mascherare il rifiuto che ho fatto in qualcosa di più facile da risolvere, qualcosa di meno rumoroso, e meno seccante per loro. In altre parole, è evidente che cercano un altro motivo per mandarmi via dalla Marina, un motivo che sia “previsto” e in cui ci siano dei precedenti. Insistono molto nel chiedermi perché io non avessi detto niente a nessuno prima della cerimonia.
A questo ho dato varie spiegazioni: la più importante è quella di rendere irrevocabile il mio rifiuto; la seconda è per evitare di essere sottoposto, prima della cerimonia, a pressioni da parte dei miei superiori ed incoraggiamenti a firmare (questo, per loro, sembra dimostrare la fragilità delle mie opinioni); la terza è perché ritenevo il mio gesto altrettanto solenne del giuramento dei miei colleghi, e quindi ci tenevo a farlo durante la cerimonia vera e propria (per essere visto, non per essere ammirato, né tantomeno seguito).
Mi chiedono cosa intendo fare, fuori dalla Marina: io dico di non averci pensato, ma che in ogni caso devo prima attendere di vedere quali sono le conseguenze del mio rifiuto, poiché non ne ho la più pallida idea. Giudicano questa mia risposta una chiara dimostrazione di incoscienza: uno non dovrebbe fare un gesto di cui ignora le conseguenze, poiché questo non è coraggio. È incoscienza ed immaturità. Il coraggio è quello di una persona che fa un gesto di cui sa pienamente le conseguenze (strano: non riuscirò mai a capire che coraggio ci voglia e eseguire un’azione già interamente pianificata …).
Mi congedano esausti, scoraggiati, e convinti ch’io sia stato troppo reticente. Mi comunicano che sono stato ricoverato in Infermeria, ma non me ne danno il motivo.

* * *

Torno al Palazzo Grigio. Il Pipe mi dice che il Com. Alberini ha espressamente vietato a tutto il Corso di riferire l’accaduto ad amici, conoscenti, né tanto meno, a giornalisti. È poi entrato nella nostra cameretta (il Pipe era sdraiato sul letto a leggere) e si è messo a parlare (dopo essersi seduto sul mio letto, anzi semi sdraiato) per chiedere si avessi detto a qualcuno che me ne volevo andare dalla Marina.
Il Topo mi viene a trovare e mi dice che “se non avesse una famiglia” avrebbe fatto anche lui come me. Vanno tutti a mangiare. Io aspetto che mi portino il pranzo in cameretta.
Poiché la roba non viene, alle 8.45 esco per telefonare a mensa, ma incontro il Comandante. Avverte lui stesso la mensa, e mi fa entrare in Segreteria.

* * *

2° COLLOQUIO CON IL C.C. ALBERINI

Mi dice di prendere una sedia e di sedermi di fronte a lui, per parlare un po’ della faccenda, in attesa della cena. Mi dà il permesso di fumare. Mi chiede informazioni più precise circa la mia condotta.
Ripeto la motivazione politica del rifiuto di giurare.
Mi chiede se non ci sono altri motivi, ossia se non ero stanco della vita d’Accademia.
Rispondo che questo è anche un motivo, ma del tutto secondario, poiché se non vi fosse stato il giuramento, non avrei fatto niente per andarmene dall’Accademia.
Siccome era al corrente della mia completa soddisfazione per la campagna estiva, mi chiede, allo scopo di “istruirsi in Sociologia”, quali sono stati i fatti, durante la IV Classe, che mi hanno particolarmente turbato. Dice che lo vuole sapere anche perché ha importanza nel suo comportamento con il Corso.
Accenno allora al colloquio col K2. E mi dice che allora anche lui, al nostro posto, avrebbe seriamente pensato a dare le dimissioni.
Parlo poi della scena pietosa del K1, degli esercizi militari, del fatto del cappotto sul braccio, delle eccessive sanzioni per le insufficienze nello studio, ecc. … dicendo che c’erano stati periodi di profondo malcontento nel Corso, e che si era spesso parlato di non fare il Mk
]¯[.
Mi chiede se i miei amici erano a conoscenza della mia decisione di non firmare, e rispondo che, naturalmente, D.S. lo sapeva. Mi chiede perché non ero andato da lui a chiedere consiglio; rispondo che era per non metterlo in una situazione imbarazzante, poiché avrebbe dovuto riferire ai suoi superiori (ma mi risponde che, dicendoglielo fuori servizio, la cosa sarebbe rimasta fra noi).
Gli dico anche che, in genere, non mi piace confidarmi con i miei superiori, poiché lo considero un segno di debolezza. Mi dice che dovrà informare i miei genitori, e gli do il numero di telefono.
Durante tutto il colloquio è evidente il suo imbarazzo, poiché mentre parla disegna nervosamente su di un foglio di carta i soliti fiorellini, ed altri segni strani. Mi dice anche: “Mi dispiace sinceramente che si tratti proprio di Lei: ne risentirei molto di meno se fosse accaduto ad un altro”. Sembra infatti che mi avesse in simpatia.
Quando arriva il piantone con la cena, mi congeda.

* * *

Dopo aver mangiato, e parlato un po’ con i miei amici, prendo la mia roba e mi reco in infermeria. Trovo là il Bel-Mel ed il Cane, ai quali racconto l’accaduto.
Verso le 22.00 arriva l’infermiere che mi dice che sto in una cameretta all’“isolamento”. Ma fa poi una iniezione, nonostante le mie proteste, e mi dà una supposta di Brolumin.
Si tratta di un sedativo, e ritengo più opportuno mettermela. Rimane il dubbio sul contenuto della iniezione.





III. ISOLAMENTO IN INFERMERIA (Livorno, 3-5 febbraio 1965)

MERCOLEDÌ 3 FEBBRAIO

Prima di andare a lezione vengono Dino, Fulvio ed il Pipe a trovarmi. Parliamo un po’ e mi lasciano alle 09.00.
Poco dopo il Colonnello Medico (che alle 08.00, durante il giro dei malati, mi aveva chiesto se avevo dormito bene) entra introducendomi Mamma.
Sono mezzo addormentato (i sedativi fanno ancora effetto), e riesco solo a dare poche spiegazioni. Mamma accenna alla sorpresa ed al dolore di tutti; dico che mi dispiace, ma devo essere io a vivere la mia vita. Vuole sapere cosa pensano i miei colleghi. Teme che mi mettano in prigione per “vilipendio al Capo dello Stato”, macchiandomi la fedina penale.
Mi lascia per andare dal Com. Alberini.

* * *

Durante tutto il resto della giornata rimango in uno stato di sonnolenza stranissima.
Nel pomeriggio, dopo aver dormito un po’, arriva il Bel Mel che mi mette a disposizione senatori, deputati, avvocati e giornalisti, nel caso ne avessi bisogno.
Dopo un po’ entra un signore in borghese, presentato come medico anche lui dal Colonnello Medico, che si congeda subito.
Questo signore si siede su di una sedia, e dopo avermi fatto sedere inizia ad interrogarmi.

* * *

COLLOQUIO CON IL SIGNOR X

Mi chiede l’età, fratelli, sorelle, età di Papà, Mamma, luogo di nascita, luoghi dove sono vissuto.
Parla poi del fatto di ieri e gli confermo che è solo da un paio di giorni che ci pensavo, poiché prima non sapevo del giuramento. Gli dico che avevo già giurato. Dopo l’elezione di Saragat, non ho voluto dare le dimissioni, perché mi sembrava poco leale ritrattare un giuramento. Quando si è trattato di ri-giurare, non me la sono sentita di firmare un impegno formale che non avrei voluto mantenere.
Mi chiede se sono mai stato iscritto ad un partito politico (NO). Di quali idee politiche sono (Liberale). Se ho avuto malattie (quelle infantili), se sono fidanzato (NO), se ho avuto rapporti sessuali (Si), da quando (da prima di entrare in Accad.).
Tasta il polso. Mi fa spogliare e poi fa strani segni sull’addome e sulla schiena con l’estremità d’un tubicino metallico. Chiede se sogno (Si, quasi sempre). Se qualche volta mi tremano le dita (Si, quasi sempre), se fumo molto (Si, dalle 30 alle 40 sigarette al giorno). Guarda gli occhi. Se qualche volta ho mal di testa (si, raramente), mal di gola (si, periodicamente, per il fumo), se l’alcol mi fa effetto (no, pochissimo), se bevo molta acqua (no). Se ho molti amici con cui mi confido (amici, si, ma pochi e scelti), se sono molto loquace (tendenzialmente no, ma mi sforzo di esserlo).
Perché sono venuto in Marina (perché vengo dal Nautico e mi piace l’ordine della gerarchia militare), dove ho fatto il Nautico (a Procida), cosa ho intenzione di fare (sono nelle mani della Marina: aspetto gli eventi), cosa farei fuori dell’Accademia (forse navigherei nella Mercantile). Cos’altro farei volentieri (scrivere). Scrivere cosa: romanzi, articoli di giornale, narrativa, politica, filosofia? (probabilmente narrativa a sfondo filosofico). Se ho già scritto (nulla di importante). Come faccio a sapere che scriverei (so solo che lo “scrivere” mi piace).
Se studio volentieri (prima dell’Accademia, si; ora NO). Come mai questo cambiamento (forse per le difficoltà incontrate all’inizio dell’Accademia in Analisi ed Analitica). Perché non aveva avvertito il Comandante di quello che stavo per fare (per rendere la mia decisione irrevocabile). Per farne un gesto positivo (Si). Speravo che qualcuno mi seguisse (assolutamente no).
Se ne va dopo avermi ringraziato.

* * *

Vengono poi Dino, Fulvio ed il Pipe che mi portano il Borghese ed il Travaso.
Dino ha anche comprato per sé un libro di Camus, dal quale legge qualche frase.
La migliore è “Dio ha una sola scusa, è che non esiste”.
Racconto brevemente i colloqui vari.
Ammetto di non sapere nulla di quanto mi attende.

* * *

GIOVEDÌ 4 FEBBRAIO

Mi faccio portare una poltrona in camera.
La mattina mi viene a trovare il Comandante Alberini con un fascio di cartelle sotto il braccio. Ne tira fuori un documento in cui c’è descritto il mio rifiuto di giurare durante la cerimonia. La mia frase è riportata un po’ alterata:
“Non intendo firmare in quanto ciò è contrario ai miei principi”
Si tratta solo di una inversione, che la rende più brutta ma che non altera il significato generale., per cui non la faccio cambiare.
Firmo il documento.

Più tardi, sempre in mattinata, arriva il Comandante Alberini che mi deve portare al Comando.
Strada facendo gli chiedo se si incomincia ad intravedere una soluzione della faccenda, ma lui ammette di non saperne niente; in ogni caso la faccenda non dipende più dall’Accademia ma dal Ministero.
Mi porta davanti all’ufficio del Comandante in Seconda. Quest’ultimo fa chiamare il Comandante in Terza, gli parla brevemente, e lo congeda.
Dopo un po’ vengo a sapere che è con il Com. in III^ che devo conferire.
Evidentemente il K2 non mi vuole vedere, per non rimetterci completamente la salute.

* * *

2° COLLOQUIO CON IL COMANDANTE IN III^

Il Comandante Monassi mi dice che, poiché prima o poi verrò degradato, non mi considera più come un Ufficiale della IV Classe, e per questo motivo non mi vuole tenere agli arresti nel Palazzo Grigio, a contatto con i miei compagni di Corso.
Non mi può nemmeno mettere nella Sala Arresti degli Allievi, poiché sono ancora un Ufficiale, e perciò ha adottato la soluzione dell’Infermeria.
Mi chiede poi di capire quanto interessi all’Accademia di concludere al più presto il mio caso, in modo da allontanarmi il più presto possibile. Per questo motivo mi assicura che hanno fatto pressioni sul Ministero, in modo da affrettarne le decisioni sul mio caso.
Mi congeda.

* * *

Tornando in Infermeria dico al Comandante Alberini che la cosa si fa sempre più interessante (in modo ironico).
Mi risponde che se apprezza quello che ho fatto, in linea di principio, non approva il mio atteggiamento di scherno e di sarcasmo. Gli rispondo che, trovandomi nella mia attuale situazione, il mio atteggiamento dipende dal mio carattere che mi fa apprezzare tutte le sensazioni che derivano dalla novità del caso.
Lui interpreta male quello che dico, e rimane convinto ch’io abbia rifiutato di giurare in modo leggero. Mi dispiace molto di essere male giudicato dal Comandante Alberini.

* * *

Il cibo dell’Infermeria incomincia a diventare monotono. Oggi, poi, la carne è tanto schifosa che sembra carne di D.!
Dopo pranzo vengono da me Dino, Fulvio, il Pipe ed il Cinese con una bottiglia di champagne (Moët & Chandon) ed una coppa di cristallo, per brindare insieme.
Si trattengono per una mezzora.

* * *

La sera mi sento chiamare dalla finestra (che ha le sbarre). Sono Dino, Fulvio ed il Pipe che dicono che volevano salire da me, ma che il Colonnello lo ha vietato loro.
Me ne dispiace molto

* * *

La sera sono molto depresso.
L’incognita del futuro mi preoccupa, e vedo la situazione molto nera.
Sono seriamente tentato di svenarmi. Infatti in questo modo non mi toglierebbero il grado, e rimarrei in Accademia, nonostante la grande voglia del Comando di sbarazzarsi di me. Sono trattenuto dal fatto che la faccenda verrebbe ad essere messa a tacere dalla Marina.
Mi sforzo ad aver fiducia nell’avvenire.
(avevo anche pensato ad un testamento: l’anello con lo stemma gentilizio a Papà, la sciabola a Mamma, l’accendino a Maria, lo scarabeo a Giovanna, e tutto il resto ai miei amici. Ero molto indeciso per la penna.)

* * *

VENERDÌ 5 FEBBRAIO

Sono condannato all’isolamento.
Nessuno mi viene a vedere.
Tutta la giornata trascorre in una noia mortale.
Per ammazzare il tempo sono costretto a dormire nel pomeriggio

* * *

La sera viene il Cappellano dell’Accademia, il quale non è a conoscenza della mia situazione.
Sono rimasto tanto solo che lo accolgo volentieri, e gli spiego per sommi capi tutta la faccenda, precisandogli che non credo in Dio.
Sembra apprezzare, in parte, il mio comportamento.
È convinto che non mi possano mettere in prigione, perché, secondo lui, sono solo colpevole di lealtà, e forse di eccessivi scrupoli.
Si congeda dicendo che certamente me la saprò cavare, perché ho una mia personalità ed una intelligenza, e mi fa gli auguri per un’ottima soluzione dei miei problemi.

* * *

La sera sono venuti Dino e gli altri.
L’infermiere di guardia, giù, dice loro che non ci sono, perché sono partito.





IV. VIA DALL’ACCADEMIA (Livorno, 6 febbraio 1965)

SABATO 6 FEBBRAIO

All’ora di colazione viene da me Capo Padula, che mi dice di andare in Segreteria.
Lì mi dicono di consegnare tutte le pubblicazioni riservate.

Incontro poi il Comandante Alberini, che mi dice che vado in licenza.
Non posso nascondere la mia sorpresa, e lui mi spiega che ho la “licenza illimitata in attesa di decisioni ministeriali”. Dice che ha telefonato a casa.

* * *

Preparo tutti i bauli e la valigia, lasciando in cameretta i libri di studio, ad esclusione di quelli di Nautica, che mi possono servire, e quelli di Storia Navale, che voglio conservare.

Saluto tutti i miei amici. Dino mi dice che ci rivedremo.
Sono tutti molto simpatici.
Bel Mel mi dice di scrivergli, se ne avessi bisogno.
Emanuele mi parla di un possibile impiego a Roma.

Saluto il Comandante Alberini, pregandolo di avere un buon ricordo di me.

* * *

Parto in macchina con il Pelp, che va a Roma in permesso per il “week-end”.
Arrivo a casa verso le 23.00.
Sono accolto da tutti con il sorriso. Nessuno accenna ancora a dei rimproveri.





V. INIZIO DELLA LICENZA ILLIMITATA (Roma, 7-9 febbraio 1965)

DOMENICA 7 FEBBRAIO

Oggi è domenica. Mi alzo tardi.
Durante tutta la giornata non si fa niente. Rimango in casa perché aspetto una telefonata (da Emanuele), che non arriva

* * *

La sera sono in camera da letto di Papà, a parlare un po’ della faccenda.
Come c’era da aspettarselo, Papà non approva. Dice che è un gesto da demente. È criminale buttar via una carriera ed una posizione brillante. A lui dispiace, ma questo non ha importanza poiché ha ancora pochi anni davanti a sé, ma sarò io che mi troverò male.
Se ci fosse un colpo di Stato delle FF.AA., io adesso ne sarei fuori.

Io sono convinto che ho mandato all’aria una carriera. Ma fuori dalla Marina non mi sento sperduto. Troverò sempre qualche cosa. Se mi tolgono il grado, vuol dire che il grado non è degno di me.

Papà si chiede poi se l’Amm. Lubrano non può fare qualcosa. Sia Papà che Mamma sono convinti che dovrò terminare la ferma di 6 anni da marinaio.

* * *

LUNEDÌ 8 FEBBRAIO

Vado al Distaccamento per far firmare la licenza.
Il Comandante che deve firmare mi chiama e mi chiede il motivo d’una licenza così insolita. Glie lo riferisco, e lui non mi sa dire a cosa vado incontro.
Tornando a casa, Mamma dice se non sarebbe conveniente andare al Ministero a chiedere notizie.
Penso che sia una buona idea.

* * *

MARTEDÌ 9 FEBBRAIO

Tutta la notte ha nevicato. Stamattina Roma è paralizzata dallo strato di neve (di 20, 30 o 40 cm).
Non vado al Ministero, poiché è probabile che non ci sia nessuno.

* * *

Papà e Mamma hanno finalmente l’idea di consultare l’Amm. Lubrano.
Mamma telefona a Napoli. C’è Rinetta. Chiede se può andare, domani, a trovare l’Amm. per parlargli d’una cosa che mi riguarda. Rinetta dice di essere a casa sua verso le due del pomeriggio, perché sicuramente troveremo l’Ammiraglio.
Decidiamo allora di partire domani mattina presto, per fronteggiare eventuali ritardi ferroviari a causa del gelo.





VI. L'AMMIRAGLIO LUBRANO (Napoli, 10 febbraio 1965)

MERCOLEDÌ 10 FEBBRAIO

Alle due del pomeriggio entriamo al numero 29 di via Monte di Dio, e siamo ricevuti da Rinetta, cugina dell’Ammiraglio.
Entriamo nel salotto della abitazione, dove vi è un vogatore (che mi è stato detto servire ad Umberto, fratello dell’Ammiraglio, per fare degli esercizi alle braccia dopo un incidente).
Vi sono anche molti quadri di Claudus e due quadri di Procida (uno che rappresenta la Corricella ed una vista della Terra Murata).
Non facciamo a tempo a sederci, che entra l’Ammiraglio Antonio Lubrano, che ci saluta cordialmente e, rivolgendosi a Mamma:
“Signora, è sempre altrettanto giovane!
- Non creda, Ammiraglio, in questi ultimi giorni sarò invecchiata di almeno dieci anni…”

e precisa che è a causa mia.
L’Ammiraglio la interrompe subito dicendo:
“Non è possibile, Signora, io so che suo figlio è sempre stato bravissimo, e che non ha potuto fare niente di grave”.
Mamma racconta allora brevemente i fatti, ossia che al momento del giuramento, dopo la nomina a Guardiamarina, io mi ero rifiutato di farlo perché contrario ai miei principi: la mia avversione per Saragat mi aveva spinto a fare un gesto così sconsiderato, e di ciò non conoscevo le conseguenze disastrose.
L’Ammiraglio a questo punto dice che non vi è mai stato nulla di irreparabile, in questo mondo, tranne le malattie che minano la salute. Continua dicendo che è portato ad ammirare il mio atteggiamento, e che lo capisce benissimo, perché anch’egli, da giovane, venne a trovarsi in una situazione analoga alla mia, quando si trattò di giurare fedeltà al Fascismo. In un primo momento egli si era rifiutato; e poi, siccome lo avevano pregato di giurare (perché non volevano che la voce di questo rifiuto giungesse al Capo del Governo), aveva finito col convincersi ed aveva accettato.
D’altra parte anche nel mio caso è bene che il presidente Saragat non lo sappia; se lo sapesse infatti se ne dispiacerebbe, e forse sarebbe un bene, ma non sarebbe conveniente per la Marina.
Poiché richiede maggiori particolari, Mamma spiega la faccenda in modo più dettagliato: da rifiuto di giurare, agli innumerevoli interrogatori, alle iniezioni, alla sua venuta a Livorno, alla comunicazione del Ministero a casa, fino alla mia attuale “licenza illimitata”.
L’Ammiraglio ripete che è indubbiamente ammirevole la mia dirittura morale, e, vista la evidente perplessità di Mamma (che, prima di entrare, si aspettava solenni rimproveri per il mio gesto inconsulto), aggiunge che, quando "il mio biografo" futuro accennerà a questa vicenda, scriverà "una delle più belle pagine della mia vita".

* * *

Mamma gli accenna allora al dolore arrecato alla famiglia, ed in particolar modo a Papà, alla cui salute sono dannose le emozioni di questo genere. L’Ammiraglio dice che questo è evidentemente il lato più delicato della faccenda, in quanto, purtroppo, bisogna spesso tener conto, oltre che dei propri ideali, anche dei sentimenti dei nostri cari.
A questo proposito Mamma aggiunge che potrei aver fatto credere ai miei superiori che la mia è una famiglia d’anarchici. L’Ammiraglio risponde che, in un certo senso, è proprio alla educazione perfetta ricevuta in famiglia che si deve attribuire la mia decisione.
Secondo lui, ho preso questa fierezza di carattere dal lato procidano della famiglia, e mi paragona ai Dieci Martiri di Procida (Scialoia, ecc. …) dalla personalità poco incline a sopportare ed a piegarsi alle imposizioni. Giunge fino a dire che sarebbe stato molto orgoglioso di avere un figlio come me.
Mamma risponde: “Ma, benedetto figliolo, se si fosse almeno consultato con i suoi superiori o con noi, ne avremmo potuto discutere insieme”. Dice poi che è stata una decisione improvvisa, e per questo ha colto tutti di sorpresa. Parla anche dei miei progetti per il futuro fatti a Natale, quando dissi che sarei andato molto volentieri sul Corsaro II o sui sommergibili. Ricorda anche il mio passaggio a S.M., che conferma la mia volontà di rimanere in Marina, rinunciando ad una laurea molto ambita.
L’Ammiraglio parla allora di Caracciolo, quando, giovane e brillante Ammiraglio della Marina Borbonica, già messo in luce da vittoriosi scontri contro flotte pirate e Barbaresche (battaglie di scarso valore storico, ma non per questo meno difficili e perigliose di quelle più note), dopo aver accompagnato il Re Borbonico in fuga a Palermo (dopo la rivoluzione scoppiata a Napoli), domandò al suo Sovrano di recarsi in breve licenza nella capitale partenopea, per poter raggiungere la vecchia madre ammalata. Arrivato a Napoli, l’Ammiraglio Caracciolo decise di passare al servizio della Repubblica Partenopea (sostenuta dai Francesi). Fu successivamente preso dagli Inglesi, e, accusato di tradimento verso i borbonici, venne condannato a morte. Sebbene egli avesse ripetutamente richiesto la fucilazione, Nelson volle farlo impiccare ad un pennone. Naturalmente, contrariamente alle opinioni dei borbonici, i Liberali lo hanno sempre onorato come Eroe.
L’Ammiraglio torna poi al mio caso, dicendo che anch’io avrei preso questa decisione improvvisa (la cosiddetta crisi di coscienza), ma si tratta di una esplosione improvvisa di sentimenti lentamente maturati nell’inconscio.
A questo proposito, Mamma ricorda che all’epoca del processo dei quattro generali, in Francia, io scrissi a casa dicendo che era evidente la loro colpevolezza, ma che il fatto che avessero il petto carico di medaglie dava da pensare. Questo, secondo Mamma, sembrava una prima manifestazione della indipendenza delle mie idee, poiché ammettevo l’affermazione categorica delle proprie opinioni da parte d’un militare, anche in contrasto con le direttive dei superiori. Aggiunge poi che, educato in Francia in un clima di “patriotards” sciovinisti, sono stato portato, per reazione, ad un sentimento analogo, di uguale forza, nei riguardi dell’Italia, diventando quindi un irremovibile nazionalista.
L’Ammiraglio sembra condividere l’opinione di Mamma, e aggiunge che non vi è mai stato nessuno più patriota degli Italiani che sono stati all’estero.
Mamma ripete che, in ogni caso, avrei dovuto confidarmi almeno con il mio Comandante, il giorno prima, e che non capisce come io non l’abbia fatto, visti i rapporti che aveva con noi il Comandante Alberini. Ma l’Ammiraglio la interrompe dicendo:
“Signora, Lei continua a lamentarsi, ma dovrebbe essere fiera di avere un figlio così. Domenico possiede una sensibilità ottocentesca, che gli deriva dalla ottima educazione ricevuta”.

* * *

Ripete che, in ogni caso, alla Marina non conviene che la faccenda venga resa nota, poiché si potrebbe pensare che in Accademia si educano male gli Ufficiali, consentendo lo svilupparsi di sentimenti troppo di destra, e aggiunge che la Marina è già troppo tacciata di conservatorismo e le si è sempre rimproverato di considerarsi una casta.
Mi chiede poi se altri miei compagni condividevano le mie opinioni, e rispondo affermativamente. Mamma ricorda che già dopo la crociera, quando si prevedeva la sostituzione di Segni, avevamo deciso di dare le dimissioni se fosse stato eletto Fanfani.
L’Ammiraglio risponde che effettivamente, nel caso di Fanfani c’era da dare le dimissioni. Aggiunge che anche lui, durante le elezioni, tremava al pensiero d’una possibile vittoria di Fanfani o di Nenni. Precisa che Fanfani, possedendo i “dossiers” di tutti i personaggi politici (da quando era Ministro dell’Interno), è molto pericoloso poiché ha la possibilità di ricattare quasi tutti. Dice poi che Saragat è uno dei pochi ad avere le mani pulite (il che gli ha consentito di denunciare Ippolito), e che quindi, se si esclude Gaetano Martino, egli era il migliore dei candidati alla presidenza (“Il migliore, eletto nel modo peggiore”).
Mette poi in rilevo il fatto ch’io sia stato il solo ad avere il coraggio di esprimere le mie opinioni rifiutando di giurare. Aggiunge però che si tratta di opinioni che derivano da informazioni inesatte sulla persona di Saragat, poiché si tratta d’un uomo sicuramente Europeista ed Atlantista, che, salito alla presidenza, ha saputo circondarsi con gli uomini migliori (accenna all’Amm. Spigai, ed a numerosi funzionari degli Esteri, notoriamente conservatori); e cita, come esempio della sua imparzialità, il fatto che, sebbene fosse un grandissimo ammiratore ed amico di Churchill, non sia andato ai suoi funerali per non urtare i sentimenti della Destra.
Accenna anche agli accordi segreti presi da Segni con i Capi di Stato Maggiore delle FF.AA., per poter essere in grado di soffocare ogni tentativo di sovvertimento tentato dalle sinistre, accordi che sono stati ereditati e confermati da Saragat. Precisa che, anche se ci fossero dei dubbi sulla onestà di Saragat, è meglio rimanere in Marina poiché è proprio in quella posizione che si è in grado di intervenire al momento opportuno (infatti, se il Presidente manca ai suoi doveri, i militari sono automaticamente prosciolti dal giuramento).

* * *

Mi chiede poi se mi lascerei convincere a firmare, ora che sono a conoscenza di queste cose (che asserisce non essere state dette per “indorarmi la pillola”), e dice di comprendere quanto sia più difficile il tornare indietro, che non il rifiuto; ma mi chiede di farlo anche per Papà e per tutti quelli che mi vogliono bene.
Fa poi tutta una serie di telefonate a Roma, per mettersi in contatto con il C.V. Bolondi, con l’Amm. Birindelli, capo di Maripers, e con l’Amm. di Sq. Giuriati, Capo di S.M. della Marina. Spera di potermi far giurare e tornare in Accademia.
Mi chiede se ho pensato a cosa farei fuori dalla Marina Militare. Gli confesso di no.
Mamma gli dice che posso sempre navigare nella Mercantile, poiché ho il Diploma di Cap. di L.C., ma lui scarta questa eventualità, dicendo che sarei “sprecato” nella Mercantile, poiché quando uno dimostra tanta personalità farà molta strada nella vita.
È convinto che nella Marina Militare diventerei Ammiraglio.
Congedandoci, ci dice che per lui non è un disturbo, poiché è molto interessato al mio caso, e mi batte la mano sulla spalla dicendo che non mi devo preoccupare, poiché andrà tutto bene, e che andrà sempre tutto bene se continuerò a comportarmi sempre seguendo le mie opinioni.





VII. LA «COMPRENSIONE» DEI VERTICI (Roma, 11 febbraio - 2 marzo 1965)

GIOVEDÌ 11 FEBBRAIO

L’Ammiraglio telefona che la faccenda è già nelle mani di Andreotti.

Mamma va dal Direttore di Coscienza di Andreotti, che è un padre gesuita belga, che è molto amico dell’Ammiraglio.
Ma egli si rifiuta di collaborare poiché, data la situazione attuale (politica?) non vuole interferire in queste cose.

Maledetto Gesuita intrigante, che vuole infierire su di un povero giovane Ufficiale contrario ai marxisti, neo-alleati della Chiesa!

La sera Mamma telefona a Napoli per riferire, e l’Ammiraglio dice che ci vuole pensare la notte, e domani ci ritelefonerà.

* * *

VENERDÌ 12 FEBBRAIO

L’Ammiraglio telefona alle 8 del mattino per indicare a Mamma un’altra possibilità per arrivare ad Andreotti.

Mamma ci prova: la risposta è “PICCHE” anche questa volta.

L’Ammiraglio ritelefona verso le tre del pomeriggio e dice che è meglio aspettare domani prima di prendere ulteriori decisioni.

* * *

Nella telefonata di ieri, l’Ammiraglio ha detto che aveva parlato con l’Amm. Birindelli, che aveva detto di comprendere il mio gesto.
Sembra che anche l’Amm. Vivaldi si sia espresso in tale senso.

* * *

SABATO 13 FEBBRAIO

L’Ammiraglio mi telefona verso le 08.30.
Mi dice: “Abbiamo trovato la via!”
Mi riferisce le sue intenzioni.
Mi chiede come sta il morale, e ripete:
“Caro Domenico, io ho apprezzato moltissimo il tuo gesto, che sta a testimoniare di un animo nobilissimo. Tanti auguri.”

* * *

Mamma va da S.E. Mons. Pintonello.
Questi si dimostra molto comprensivo.
Felicita Mamma perché ha un figlio che conosce il valore del giuramento.
Dice anche: “Signora, Lei è molto buona”.
Mamma torna radiosa.

* * *

La sera Mamma telefona a Napoli.
Rinetta dice che l’Ammiraglio non c’è, ma che verrà a Roma Lunedì.

* * *

DOMENICA 14 FEBBRAIO

Oggi è domenica.
La mattina non succede niente.
Il pomeriggio vado al cinema con Maria (Goldfinger).
Non c’è nessuna novità.

* * *

LUNEDÌ 15 FEBBRAIO

Tutta la mattinata trascorre nell’attesa di una telefonata dell’Ammiraglio, che dovrebbe essere a Roma.
Nel pomeriggio speriamo che si faccia vivo, ma finiamo col supporre che ha avuto la giornata impegnata dalle sue attività personali e dalle sue amicizie.

* * *

VENERDÌ 19 FEBBRAIO

Alle nove di sera l’Ammiraglio ci telefona da Roma per darci appuntamento domani, al Caffè Rosati di Piazza del Popolo.
Dice che ha parlato sia con Mons. Pintonello che con l’Amm. Giuriati, e che domani vuole parlare con Mamma e con me.

Non sappiamo se si tratta di un buon segno o di un cattivo segno.
Passiamo la serata a formulare nuove congetture.

* * *

SABATO 20 FEBBRAIO

Dopo aver preso un tè al Caffè Rosati, andiamo nel salotto dell’Albergo dove si trova l’Ammiraglio.
Ci dice che, sia Mons. Pintonello che l’Amm. Giuriati hanno molto apprezzato il mio gesto, e sono combattuti fra la loro volontà di conservare in Marina un Ufficiale “dalla coscienza tanto chiara e tanto fine”, e la necessità di “salvare la faccia” di fronte all’Accademia.
Lo stesso Mons. Pintonello, che appoggia in pieno il mio gesto, si è molto dato da fare per convincere Andreotti, il quale è disposto a fermare la pratica, purché l’Amm. Giuriati trovi una soluzione per risolvere la faccenda.
La soluzione la potrebbe suggerire lo stesso Amm. Lubrano: licenza di un paio di mesi per convalescenza dopo un esaurimento, da trascorrere sul Corsaro II o a Cortina d’Ampezzo. Rientro successivo in Accademia.

* * *

Alle due del pomeriggio torno all’Albergo Locarno, dove mi raggiunge l’Ammiraglio, che mi porta a colazione in un ristorantino vicino. Si tratta di un locale che era, una volta, una trattoria rustica, e che è stata ora rimodernata, pur conservando lo stile semplice originario.
L’Ammiraglio mi comunica che ha appena parlato con l’Ammiraglio Birindelli; quest’ultimo gli ha detto che, essendo il Capo di Maripers, era stato suo dovere far presente le eventuali difficoltà che potevano nascere da un mio rientro in Accademia, ma che era “ben contento” di risolvere in questo modo il mio caso, poiché l’Amm. Giuriati non ha nulla in contrario.
Il problema rimane sempre quello di trovare la “forma” per il mio rientro in Accademia, in modo da renderlo il più accettabile possibile per tutti.
Mi dice poi che ha saputo dall’Amm. Birindelli il fatto del mio colloquio con il Comandante Tommasini: glie lo racconto brevemente, e sembra visibilmente divertito.
Dice poi che cercherà di farmi rientrare in Accademia anche subito, se fosse possibile.
Gli rispondo che, in ogni caso, ci terrei a fare tutti gli esami a giugno, poiché vorrei partecipare alla crociera del Corsaro.
Mi dice poi che, quando tutto sarà sistemato, dovremo scrivere insieme una bella lettera a S.E. Mons. Pintonello, poiché è stato insuperabile nel modo con cui ha preso le mie difese (avrebbe anche detto che era entusiasta del mio gesto: “lo abbraccerei”…).
La situazione attuale è quindi la seguente: tutti i pezzi più grossi hanno “compreso” il mio gesto e sono favorevoli a darmi la possibilità di rimanere in Marina (Andreotti, Mons. Pintonello, Giuriati, Birindelli, Vivaldi, ecc.).
Durante la colazione viene un attimo l’Amm. De Pace a parlare con Lubrano, e poi un Capitano di Vascello.
L’Amm. Lubrano mi congeda facendomi tutti i suoi auguri.

* * *

LUNEDÌ 1° MARZO

Telefona a Papà, al Ministero degli Esteri, il C.F. Verga, per avvertire che domani, dalle 10 alle 10.30, sono atteso dal C.V. Bolondi per comunicazioni.
“In divisa o in borghese?”
Breve esitazione: … “in divisa”.

Buon segno? Cattivo segno?
… Chi se ne frega!
Non mi piace perdermi in congetture improduttive.

* * *

Domani sarà trascorso un mese dal giorno in cui ho rifiutato di giurare.

* * *

MARTEDÌ 2 MARZO

Alle 10 in punto, dopo aver stazionato la macchina in una stradina laterale, mi presento al terzo piano, Maripers, alla porta dell’ufficio del C.V. Bolondi.
Busso, entro, non c’è nessuno.
Alle 10.30 entro: sta telefonando.
Alle 11.30 finisce di telefonare, ma entra un altro.
Alle 12 è finalmente libero e mi riceve.
“Si ricordi che in Marina si ammette tutto, fuorché gli scherzi su quello che è Patria e Onore …”
Compila per me una domanda con la quale chiedo di far ritirare la mia dichiarazione di non voler firmare (*), e con cui chiedo di poterlo fare ora.
Firmo la domanda.
Mi dice che domani dovrò andare a Marisan dal Gen. Medico Ghersi, che mi rilascerà un certificato di idoneità, che gli dovrò portare; dopo di che telefonerà all’Accademia di richiamarmi.
Prevede il mio rientro per dopodomani.
_____

(*) scritta in stato di stanchezza e depressione.





VIII. LA VERIFICA DELL’IDONEITÀ (Roma, 3-13 marzo 1965)

MERCOLEDÌ 3 MARZO

Alle 9 e 15 sono a Marisan, nella piazzetta di S. Andrea delle Fratte, ed alle 9 e 30 arriva il Generale Eugenio Ghersi, Capo della Commissione Legale Medica.
Appena mi vede: “Lei è Carro?”, mi dà la mano e mi fa accomodare in una poltrona del suo ufficio.
Gli è stato riferito tutto, e mi dice che, in effetti, partendo dal mio punto di vista, avevo ragione di non voler firmare a Saragat. Mi chiede, infatti, se dopo Saragat venisse uno dei più indegni marxisti cosa farei?
“Sarei automaticamente prosciolto dal giuramento se il Capo dello Stato venisse meno ai suoi doveri”.
No, è un’illusione. Anche quando il Re è venuto meno ai suoi doveri, scappando a Sud, alcuni ufficiali come Borghese, Grosso, ecc., si ritennero sciolti dal giuramento, ma sono stati comunque processati per aver mancato alla fedeltà e per tradimento (sebbene i giovani ufficiali avessero fatto il doppio giuramento: al Re ed a Mussolini, il che poteva giustificare le decisione di scegliere l’uno o l’altro).
Quindi il problema del giuramento rimane intatto.
Mi dice che lui ha avuto un passato burrascoso, non vi è stata nessuna esperienza che non abbia fatto, e che questo è stato possibile solo perché non era iscritto a nessun partito (questo fa perdonare molte cose), e perché non era ancora sposato, il che consente la massima libertà d’azione.
Dice che tutti gli ufficiali dovrebbero sposarsi solo dopo i 35 anni, poiché altrimenti in guerra si sentono inconsciamente portati a non rischiare troppo, per un senso di responsabilità verso i figli.
Si chiede poi come mai sono arrivato al punto di fare un’azione così grossa. Dice che anche lui e molti suoi colleghi, ed ufficiali di altri corpi del suo grado, la pensano come me, ma non penserebbero di fare nulla di simile.
Gli rispondo che sono giovane e libero.
Approva, e mi chiede come l’ha presa Papà: rispondo che non poteva ammettere che si buttasse via una carriera in questo modo.
Mi dice che ho evidentemente una grande sensibilità, che sono un ipersensibile, e che, per le mie idee, dovevo nascere molto prima.
Secondo lui, infatti, l’uomo del nostro secolo si è inaridito, e non prova mai questi problemi, poiché si è abituato a pensare solo ai suoi interessi personali. Dice che è incomprensibile, per l’uomo della strada, che uno possa mettere in questione la propria posizione per via del Presidente della Repubblica.
Dice che, in fondo, il sistema repubblicano risulta teoricamente migliore del precedente monarchico. Infatti il Capo dello Stato viene eletto, mentre il re, ereditario, poteva benissimo essere un imbecille qualunque. Ma dice anche che in Italia il Presidente della Repubblica non ha nessun potere effettivo, come quelli delle Repubbliche Presidenziali (che hanno tutto in mano), e quindi non c’è un effettivo pericolo di poter mancare al giuramento.
Dice anche che, andandomene, toglierei un piccolo puntello, valido e sano, alla Marina ed alla Patria. E per piccolo che possa essere questo puntello, non lo posso togliere senza arrecare un danno all’insieme. È come quando, con il suicidio, uno si sottrae alla società (e mi riferisce che in Inghilterra è un delitto).
Può essere una dimostrazione di coerenza, ma è sempre una rinuncia.
In Marina posso conservare una posizione tale da poter affermare le mie idee ed i miei principi, mentre fuori dalla Marina rimango isolato, inerte ed impotente.
Comunque è un problema che va meditato bene, poiché la mia presa di posizione e il mio rifiuto di firmare (che è, a prescindere dai motivi, un atto simpaticissimo) è stato motivato da un certo numero di considerazioni che rimangono tuttora valide.
Mi chiede se sarei contento di tornare in Accademia. Gli rispondo che per la Marina sarei molto contento, poiché la vita dell’Ufficiale di Marina mi piace molto.
Mi chiede cosa farei se andassi via dalla Marina: rispondo che, in un primo periodo, penso proprio che sarei costretto a navigare con la Mercantile, ma che non la considererei una sistemazione definitiva.
Mi approva perché è convinto che non mi troverei bene nella Marina Mercantile, trattandosi d’una vita molto sacrificata (petroliere che fanno la spola per mesi e mesi fra i porti attrezzati delle raffinerie, dove sostano poche ore). Racconta di un Ammiraglio che nella “mercantile” aveva dovuto fare il secondo di bordo. Dopo il primo viaggio è scappato a tutta velocità.
Mi ripete che bisogna pensarci bene. Intanto si occuperà della “documentazione” che deve preparare. Dice che dovrò tornare da lui un’altra volta.
Gli riferisco che il Comandante Bolondi avrebbe preferito avere subito il certificato.
Mi prende sotto il braccio, mentre mi accompagna alla porta, lungo il corridoio, e mi dice:
“Il Comandante Bolondi pensi a guidare le navi; al servizio sanitario ci devo pensare io”.
Mi prende il numero di telefono per potermi chiamare, quando avrà bisogno di me.

* * *

Vado al Ministero da Bolondi per fargli presente che non ho il documento.
È già informato perché il Generale ha telefonato all’Ammiraglio Birindelli la sua intenzione di volere ben rendersi conto della faccenda.
Dice che adesso non ho da fare che quello che mi dice il Generale, e mi dà la mano per congedarmi.

* * *

VENERDÌ 5 MARZO

Ieri non ho avuto nessuna comunicazione.

Stamattina telefona un Ufficiale di Marina per avvertire che domani, alle 09.00, il Magg. Generale Ghersi mi vuole vedere. Precisa che dovrò andarci in borghese.
(Mamma si preoccupa perché ha detto “il Signor Carro”, invece di “G.M.”, ed anche per il fatto che devo andarci in borghese: spiego che a noi spetta il “Signor”, e che il fatto di andarci in abito civile è una gentilezza verso di me).

* * *

SABATO 6 MARZO

Alle nove in punto il Generale mi riceve e, dopo avermi dato la mano e chiesto gentilmente se tutto andava bene, e se ero sempre dell’opinione di giurare, mi dice che, poiché non sa quale esito abbiano dato le visite fatte in Accademia (in particolar modo da quel medico di Pisa) vuole che io sia fornito di un certo numero di certificati che attestino categoricamente che sto in perfette condizioni di salute.
Telefona al Distaccamento al Col. Itri, dicendogli a quali visite devo sottopormi, raccomandando che esse siano fatte molto scrupolosamente senza trascurare radiografie e analisi varie, specificando però che esse debbono in ogni caso avere esito positivo, e che, in caso ci fosse qualcosa, devono avvertirlo personalmente senza segnare nulla sui certificati.
Mi dice poi che devo recarmi al Distaccamento, consigliandomi di prendere il 90, e si augura che lunedì abbia la possibilità di inviare la documentazione all’Amm. Birindelli.
Mi congeda.

* * *

Alle 9 e mezza mi trovo già al Distaccamento, dove mi reco, al terzo piano, ai locali sanitari.
Il Colonnello Itri mi riceve molto cortesemente. Gli racconto la mia situazione, ed egli mi fa una visita generale, trovandomi in buone condizioni di salute.
Mi manda poi a fare la analisi del sangue e delle urine, e le radiografie, dicendomi di tornare poi da lui. Mi reco prima al Laboratorio delle Analisi, dove mi sbrigo in pochi minuti, ma perdo poi un sacco di tempo per la radiografia perché c’è molta gente prima di me.
Mentre sto aspettando, mi raggiunge il Colonnello Itri, e mi dice di tornare domani alle 09.30, sebbene sia domenica, per sottopormi alla visita neuro-psichiatrica.
Esco dal Distaccamento verso le 12.

* * *

DOMENICA 7 MARZO

Verso le 10 arrivo al Distaccamento, un po’ in ritardo per il ritardo del 90.
Il Colonnello mi dice di aspettare poiché deve venire il medico che mi deve visitare.
Dopo un po’ arriva il Cap. Muscarà, che mi invita a seguirlo nell’ufficio del Dott. Russo.
Lì mi “visita”, ossia abbiamo un colloquio in cui gli parlo un po’ di me, della mia vita e di quello che mi è capitato recentemente.
Il Cap. Muscarà è molto gentile; ci diamo del “tu” poiché egli è ancora molto giovane.
Dopo una mezzoretta mi dice che tutto va bene e che posso andarmene. Gli chiedo se sono normale, e, alla sua risposta affermativa, riprendo dicendo che il problema di conoscermi e dell’introspezione mi interessa molto.
Mi chiede se mi andrebbe di fare un “test”, al di fuori della visita “legale”, per mio interesse personale. Dico di sì, e va giù a prendere il “test” che ha in macchina. Lo compilo (sono una serie di domande, anzi di frasi a cui bisogna scrivere Vero o Falso).
Mi dice di telefonargli o di andare da lui per il responso.

* * *

LUNEDÌ 8 MARZO

Vado a trovare il Dott. Muscarà alla “Neuro”, “reparto donne”, come mi aveva detto.
Alle 11 mi fa entrare nel “reparto”, ed aspetto in una saletta mentre lui va a sbrigare alcune faccende. Ogni tanto si affaccia alla porta qualche ragazza dagli occhi inespressivi, che mi guarda senza capire. Una di esse entra, e noto subito le dita ingiallite dalla nicotina. Mi chiede “Hai una sigaretta, per favore?”; rispondo che non fumo, per non offendere nessuno; dopo un po’ la vengono a prendere, e mi chiedono se le ho dato sigarette. Sembra che sia un’intossicata.
Il Dott. Muscarà mi raggiunge ed inizia a riportare i risultati del “test” su di un grafico. Si tratta infatti di un risultato statistico che si ottiene mettendo in grafico i numeri delle risposte affermative che ho dato riguardo a determinate domande, che dovrebbero mettere in rilievo un dato lato della mia personalità.
Dice che il grafico corrisponde all’idea che si era fatto di me dopo il colloquio, e dice che è del tutto regolare.
Siccome rispondo che è un vero peccato che sia “normale”, accennandogli alla mia fobia della “mediocrità”, risponde che questo si vede nel grafico ... Ripete che si tratta di una manifestazione di vitalità. Anche se può essere interpretata come “leggerezza giovanile”, se la conservo con il passare degli anni, non sarà un male, purché io sia cosciente di averla e non ne abusi. Tanto più che vi sono ottime doti di intelligenza e di aspirazioni per il futuro, che sono sufficienti a mettermi al di sopra della piatta normalità, anche senza il contributo del mio gusto dell’insolito.
Mi fa poi tanti auguri per il futuro e mi congeda molto calorosamente.

* * *

VENERDÌ 12 MARZO

Visita all’Ordinariato Militare, per andare a trovare Mons. Pintonello.
Sua Eccellenza ci riceve subito, Mamma e me, e si mostra d’una cortesia estrema. Ci fa sedere e chiede come vanno le cose. Avendo saputo che va tutto bene e che presto rientrerò in Accademia, ripete che ho “fatto benissimo” a fare quello che ho fatto, poiché ho dimostrato di ragionare su quello che facevo, senza prendere il giuramento alla leggera.
Dice anche che è perfettamente comprensibile questo atteggiamento, poiché “Chi di noi non è scandalizzato dalla attuale situazione generale politica, che nella confusione più deprecabile apre sempre più la via al comunismo?”. Dice che, osservando quello che succede, non si può fare a meno di “rimanere pensosi e frementi”, e che ho tutta la sua ammirazione per quello che ho fatto.
Dice che si è battuto aspramente per la mia causa, e, perciò, lo devo considerare come un padrino. Mi raccomanda di scrivergli e di mantenermi sempre fiero e sicuro di me.
Ci congeda.
______

(*) Anche lui dice “magari fossero in molti quelli come lui”.

* * *

SABATO 13 MARZO

Mi reco dal Generale Ghersi, a Marisan, per sapere se l’esito delle visite mediche è stato positivo, e se tutto procede bene al Ministero.
Il Generale mi riceve (a mezzogiorno) appena arrivo.
Mi dice che tutto procede bene, che lui ha preso visione di tutti gli esiti delle varie visite mediche e che, essendo tutte positive, ne ha comunicato la notizia all’Amm. Birindelli. Con quest’ultimo hanno parlato del mio caso, e Birindelli, dopo avergli detto che mi rimandava in Accademia, voleva sapere cosa ne pensasse del mio entusiasmo di tornare alla base; il Gen. gli ha risposto che io gli avevo detto di esserne contento, ma ora che si trova con me, non è tanto sicuro che, poi, sarò molto lieto di rimanere in Marina. Mi dice infatti che da Ufficiale dovrò spessissimo obbedire o dare degli ordini che vengono dall’alto, sebbene io consideri tali decisioni erronee o fuori posto. Secondo lui: “arrivati ad una certa età, diventiamo tutti nevrastenici proprio per questo motivo”. Spinge al limite il discorso dicendo che io dovrò obbedire al mio comandante, anche se questi fosse un “Longo” qualsiasi. Quindi, secondo lui, io non sono fatto per questa vita. Mi vedrebbe molto più volentieri come filosofo …
Sorrido, e gli confermo che, infatti, mi piacerebbe molto scrivere. Dice poi che, ora che torno in Accademia, devo naturalmente fare del mio meglio, e finire i 6 anni a cui mi sono impegnato. Mi ricorda che mi aspettavano 6 anni da marinaio semplice, e che hanno deciso per la 1^ volta di non applicare il Regolamento, proprio perché era il 1° caso del genere.
Torna poi a dire che, secondo lui, dopo questi 6 anni, io mi dovrò porre il problema se restare oppure no. Lui pensa che non resterò, e mi vedrebbe come un “pensatore, di filosofia naturalmente”, oppure come capo di qualche ordine contemplativo …
Obbietto, sorridendo, che so apprezzare anche i piaceri materiali che ci offre questa vita, ma lui dice che si riferiva al carattere riflessivo che ho.
Dice che anche a parlare con me, vedendo quanto mi interesso ai problemi e sentendo il mio modo di ragionare, è evidentissimo che ho ottime possibilità, e che non sono le doti di intelletto che mi mancano. Mi fa tanti auguri per il mio rientro in sede, mi dà la mano e mi congeda.





IX. LA DECISIONE FINALE (Roma, 15-20 marzo 1965)

LUNEDÌ 15 MARZO

Verso mezzogiorno vado dal C.V. Bolondi per sentire se ci sono novità.
Mi faccio introdurre dall’usciere, e lui mi riceve subito.
Mi dice che lui non è più al corrente di nulla poiché le mie pratiche sono in mano di Giuriati. Non sa quanto tempo l’Amm. Giuriati terrà la faccenda in mano, ma pensa che, essendo stato positivo l’esito della visita medica, dovrò aspettare al massimo altri tre o quattro giorni.
Non mi sa dire nient’altro.

Scrivo a Fulvio di mandarmi il libro di Tiro.

* * *

MARTEDÌ 16 MARZO

La mattina alle 9 Mamma telefona a Napoli all’Ammiraglio Lubrano per riferire che ancora non vi è stata nessuna decisione del Ministero circa il mio rientro in Accademia.
L’Ammiraglio dice che sta per venire a Roma. Poiché arriverà oggi alle 13.27, dice che potrei andarlo a prendere alla stazione per parlare subito della situazione.

* * *

Prima di andare alla stazione, Mamma, parlando della faccenda, mi ricorda che subito dopo essere venuto a Roma da Livorno, continuavo a parlare dell’Accademia (dicendo “noi” facciamo questo e quest’altro) come se non ne fossi mai uscito fuori. Sembra che questo abbia dato l’idea a Mamma ed a Papà di vedere cosa pensasse l’Amm. Lubrano, se si poteva fare qualcosa.
Mi ricorda anche che a Napoli, da Caflisch, prima d’andare dall’Amm., dicevo che l’avrei ascoltato solo se mi avesse dato ragione.

* * *

Il rapido dell’Ammiraglio (il “Treno azzurro”) arriva puntualissimo alla Stazione Termini. L’Ammiraglio mi saluta molto affettuosamente, chiedendomi notizie di Papà e Mamma, e poi mi dice di raccontargli la situazione. Descrivo brevemente quello che mi ha detto Bolondi e le varie visite mediche.
Passa prima nella Cappella della Stazione, e poi vuole far subito una telefonata. Gli do un gettone. Telefona a Bolondi, e questi gli ripete quello che aveva detto a me, ossia che Giuriati ha tutto in mano e deve parlarne con il Ministro.
Vado a comprare altri 4 gettoni del telefono.
Telefona all’Aiutante di Campo di Andreotti, per sapere se Giuriati ha già parlato con il Ministro. Sembra infatti che il Capo di S.M. aspettasse l’esito della visita medica per chiedere al Ministro di ritirare il decreto di annullamento della nomina. Andreotti ne era già al corrente, ma voleva prima sincerarsi della mia buona salute. L’Aiutante di Campo conferma che la visita medica ha avuto esito “positivissimo”, e che non vi è stata “nessuna riserva”.
L’Amm. Lubrano telefona poi al Gen. Ghersi, ma non lo trova, e si fa dare il numero di casa. Telefona poi ad un altro Generale medico di Marisan, che è a conoscenza della cosa, e questi conferma che la visita è stata positiva, e che non vi è nessuna difficoltà per procedere al ritiro del decreto. Sembra tuttavia che, vista la mia buona salute, non si capisce allora perché ho fatto una cosa del genere.
L’Ammiraglio Lubrano mi dice che questa gente non capisce perché è gretta e materialista: non possono concepire come uno possa andare contro i propri interessi per seguire i propri principi. Dice che è contento che sia successa una cosa del genere perché ha potuto rendersi conto in quale stato di povertà spirituale è caduta questa nostra società. Aggiunge che siccome non si fidano di uno che è tanto diverso da loro, cercheranno di tenermi sotto controllo e di sorvegliarmi per vedere se possono darmi la loro fiducia.
L’Ammiraglio insiste nel dire che ho fatto benissimo a fare quello che ho fatto, e che il mio atteggiamento non fa una piega.

* * *

Usciamo dalla stazione. Mi invita a colazione. Mi dice che oggi, essendo martedì, il suo ristorante preferito, il Bottaro “Antico”, è chiuso. Dovremo quindi trovarcene un altro.
Lo invito a casa, ma lui non accetta poiché è già tardi e non vuole creare complicazioni.
Prendiamo il 64. Passando per il Corso V. Emanuele parla della bellezza dei palazzi di Roma, i più belli di Roma. Approvo.
Scendiamo in Via della Conciliazione. Mi dice che io non ero nato quando è stata aperta questa via.
Attraversiamo il Borgo Angelico, e passiamo sotto al corridoio che unisce Castel S. Angelo con il Vaticano. Troviamo una trattoria.
L’Amm. mi dice di non scandalizzarmi per la gente che c’è, poiché si mangia bene. Dice anche che dal Bottaro ci va il Principe Borghese come l’ultimo operaio: è una caratteristica delle trattorie romane.
Prima di sederci, telefona a casa nostra per avvertire Mamma che mangio con lui, e per dirgli delle notizie ricevute.
Mangio risotto e una enorme bistecca ai ferri con contorno di cicoria. Lui mangia della roba più leggera perché soffre di stomaco.
Parliamo dell’Accademia e dei nuovi lavori che stanno facendo, del Palazzo Studi, e del vitto che abbiamo al Palazzo Grigio. Descrivo le guardie che facciamo.
Gli chiedo dove era in guerra. Mi dice che era prima a Supermarina e poi sull’Eugenio di Savoia.
Mi chiede se sono fidanzato. Dico di no, ma che ho una ragazza a Livorno. Lo dico per non sembrare misogino. Mi chiede se le ho scritto, e dico di no. È convinto che lei mi abbia scritto, e devo dire per forza di sì. Mi consiglia allora di scriverle, poiché non sta bene lasciarla preoccupata, dal momento che mi vuole bene. Prometto che lo farò.
Mi chiede l’età: azzardo venti anni. Il nome: mi viene in mente “Mirella”!
Mi dice che nel pomeriggio andrà da Mons. Pintonello. Gli dico che ci siamo stati, e che si è mostrato molto gentile con noi.
Dice anche che vorrà parlare con l’Amm. Giuriati, per sapere se la cosa si trascinerà a lungo. Gli dispiacerebbe se perdendo troppo tempo per lo studio fossi costretto a portare degli esami a ottobre, perché non potrei fare la crociera sul Corsaro. Gli dico che in effetti mi piacerebbe molto fare quella crociera.
Ci fermiamo in un bar a prendere un caffè.
Mi lascia raccomandandomi di scrivere alla ragazza, suggerendomi il modo più delicato per farlo. Dice di tenerci in contatto, e lo lascio davanti al n° 17.

* * *

MERCOLEDÌ 17 MARZO

Verso le due del pomeriggio Mamma telefona al “Bottaro” per trovare l’Amm. Lubrano.
L’Ammiraglio risponde subito, e Mamma lo invita a colazione a casa per domani, ma l’Amm. rifiuta perché ha delle importanti cose da fare alla Corte dei Conti e non sa fino a quando sarà occupato. Dice comunque che ci darà appuntamento da qualche parte per riferirci le novità.
Per il momento anticipa che Giuriati era rimasto d’accordo con Andreotti di lasciare passare prima un paio di mesi per calmare le acque, e farmi poi rientrare in Accademia. Dal momento che ora è tutto pronto, vorrebbe incontrarsi di nuovo con il Ministro per dirgli di anticipare il mio rientro in sede per non farmi perdere troppo tempo.

* * *

GIOVEDÌ 18 MARZO

Verso le 9 telefona l’Ammiraglio per dire che ci vuole vedere alle 11 all’uscita della chiesa di Piazza del Popolo.
Alle undici ci troviamo lì, e lui ci porta al Caffè Rosati per parlare con tranquillità.
Ci conferma quello che aveva detto ieri per telefono: in un primo momento Andreotti aveva consigliato di lasciare passare un paio di mesi prima di procedere al mio rientro in Accademia. L’Ammiraglio Birindelli ha poi suggerito a Giuriati di anticipare il mio rientro per non farmi perdere troppo tempo per gli studi. Il Capo di S.M. si è convinto di questa necessità, e poiché ha tutta la documentazione medica in mano, essendo passato un mese e mezzo, è anche lui del parere di farmi rientrare subito. Ora deve solo trovare l’occasione di incontrarsi con il Ministro per dirgli che è meglio anticipare i tempi. Sembra sicuro che Andreotti capirà questa necessità.
L’Ammiraglio Lubrano ripete che dalla visita medica sono risultato in perfetta forma fisica. Si è però riscontrato uno stato di crisi, ossia una riservatezza ed una serietà forse eccessive. Alcuni hanno avuto l’impressione che, poiché ho delle ottime doti di intelligenza e di acutezza di ragionamento, si può giustificare solo così il mio scarso interesse per gli studi: ossia pensano che non sono eccessivamente entusiasta della vita militare. L’Amm. Lubrano aveva obiettato che mi ero messo in nota per il Corsaro, e loro avevano risposto che sì, certo, c’è una grande passione per il mare, ma non per la vita militare.
Dice anche che mi seguiranno un po’ da vicino, nei primi tempi, per sincerarsi della mia buona volontà, ed egli mi raccomanda di comportarmi con la massima naturalezza e disinvoltura.
Se ci fosse qualcosa che non va, non devo esitare a consigliarmi con il Comandante Alberini, che mi stima molto, e che mi vuole molto bene. L’Amm. dice che scriverà lui stesso ad Alberini, poiché conosceva molto bene il padre.
Sembra che Birindelli, in un primo momento, ce l’aveva con me, ma ora si è ricreduto ed ha preso a stimarmi molto, ed ha anche confessato di apprezzare il mio gesto.
Anche il Generale Ghersi, con cui l’Amm. Lubrano ha parlato, mi ha apprezzato molto. Mi ha trattato molto paternamente e sembra che abbia steso un rapporto di 5 fogli per mettere bene in evidenza le ottime qualità che ha riscontrato in me.
L’Ammiraglio Lubrano mi ripete che mi vogliono tutti bene e che mi stimano tutti, e quindi di fare del mio meglio per dimostrare che voglio rendere secondo le mie ottime possibilità.

* * *

VENERDÌ 19 MARZO

Al rientro dalla gita in montagna, mi telefona Fulvio, alle 8 di sera, per dirmi che è a Roma, e che ha il libro di “Tiro” che gli avevo scritto di mandare.
Gli fisso un appuntamento per le 10.
Per quell’ora ci troviamo a Piazza Barberini e, mentre facciamo un giro in macchina per Roma, cerco di sondare le opinioni che sono state espresse su di me in Accademia.
Mi racconta che, dopo la mia partenza da Livorno, il Com. in 3^ ha fatto una conferenza al Corso dicendo che avevo fatto molto male ad agire in quel modo, e dando giudizi del tutto negativi sul mio comportamento. Sembra che anche l’Amm. Vivaldi si sia espresso in questo senso, dando poi la colpa anche al Corso, ed in particolar modo alla cameretta, dell’accaduto.
A questo punto accenno a Fulvio del mio prossimo probabile rientro in Accademia, e lui mi dice che sì, certo, lo Stato Maggiore ed il Ministero possono volermi far rientrare a Livorno, ma in ogni caso in Accademia non mi vorranno. Infatti, soprattutto il K2 non mi può vedere.
Gli assicuro che possono dire tutto quello che vogliono, ma che non possono impedirmi di tornare. Trascorriamo il resto della serata parlando delle novità che ci sono state in Accademia.
Ci fermiamo in un paio di bar di Via Veneto. All’una e mezza giriamo tutta Roma per cercare delle sigarette. Rientriamo alle 3 del mattino.

* * *

SABATO 20 MARZO

La mattina telefona Papà dicendo che dal Ministero gli hanno telefonato per dirmi di andarci, in mattinata, e di presentarmi al C.F. Verga.
Verso le 11 mi reco da questo ufficiale, ma egli mi dice che il C.V. Bolondi mi aspetta.
Bolondi mi dice che il Ministro ha accettato di farmi giurare e di farmi rientrare in Accademia. Il giuramento andrà fatto davanti a tutto il Corso.
Mi devo trovare in Accademia per lunedì mattina.
Mi fa tanti auguri, raccomandandomi di non fare altri colpi di testa, di starmene tranquillo, e soprattutto di studiare, poiché sarò indietro con il programma.
Mi dice tutto questo in tono molto gentile, ed assentisco. Mi dà la mano e mi congeda.
All’uscita trovo Fulvio. È molto contento del mio rientro: dice che farà scalpore.
Andiamo da “Celestina”.





X. RIENTRO E GIURAMENTO (Livorno, 22 marzo 1965)

LUNEDÌ 22 MARZO

Ore 00.50 partenza da Termini.
Ore 04.45 arrivo a Livorno.
Caffè al bar della stazione. Taxi. Albergo Palazzo (05.30).
Toilette fino alle 7 meno un quarto.
Alle 7 alla Baracchina. 2° caffè.
C’è Mirella, che si mostra sorpresa di vedermi, poiché sapeva che me n’ero andato. È contenta del mio ritorno.
Alle 7 e mezza sono in cameretta.
Il Sif. si sveglia e dice: “Mimì, che fai?
- Dormi, non ti preoccupare”
.
Vado dal Balletta, che è di guardia. Grande meraviglia.
Torno in cameretta; si sveglia il Pipe, poi gli altri. Racconto un po’ tutto, in fretta.
Alle 8 meno un quarto vado dai gemelli. Riferisco tutto al buio, per non svegliarli bruscamente.
Alle 8 cerco Alberini al bar. Non c’è. Grande sorpresa di tutti. Felicitazioni da tutte le parti.
Alberini mi raggiunge in Segreteria. Meravigliatissimo. Gli dico che ho avuto ordine di rientrare dal Comandante Bolondi di Maripers. Mi dice di attendere.

* * *

Mi fa richiamare per dirmi che non parteciperò alle lezioni.
Dopo un po’ arriva Padula (che mi aveva fatto molta festa) e dice che mangerò in cameretta. Si tratta del solito sistema idiota per ben marcare che mi tengono isolato fino a quando non giuro.
Dopo mangiato, Alb. mi dice che dovrò giurare nel pomeriggio. All’arrivo del K2 dovrò leggere o dire a memoria la formuletta della richiesta di giurare.
Mi chiede se ricordo la cerimonia. Gli dico di sì.

* * *

Alle 4 siamo tutti in Sala Ritrovo in sciarpa e sciabola.
Arriva il K2, più burbero che mai.
Sono molto disinvolto.




Se ne va il K2.
Il K3 attacca una filippica. “Con questa breve cerimonia si conclude questo caso increscioso, su cui ho già avuto modo di esprimermi a suo tempo in una conferenza. Tuttora nulla è cambiato nel mio giudizio. Non sono disposto ad accogliere il G.M. Carro come il ritorno del figliol prodigo, poiché questo rimarrà sempre nel ricordo di tutti un brutto caso, che egli non riuscirà mai a cancellare; al massimo potrà cercare di attenuare la cattiva impressione riportata dal Comando. Se il caso si è risolto così, lo si deve al fatto che le autorità superiori hanno voluto considerare che la decisione era stata presa in un particolare stato di menomazione psichica, che ora è stata superata.”
Appena se ne va, aggredisco Alberini dicendogli che non mi erano affatto piaciute le parole del K3, poiché:
- non ero menomato (visite di Marisan);
- non è un brutto caso (i superiori hanno riconosciuto la mia buona fede ed hanno apprezzato la lealtà).
Alb. tergiversa e finisce col dire di non pensarci più, e di applicarmi in tutti i doveri che mi sono imposti da mio stato: studio, guardie, ecc.
Gli assicuro che è in questo spirito che sono rientrato in Accademia.





 

EPILOGO

Questo è quello che ho trovato scritto in quel vecchio quadernetto ingiallito.
Cosa potrei aggiungere per chiarire certi aspetti che potrebbero suscitare la curiosità o lo sdegno di qualche lettore odierno? Assolutamente nulla. Erano già molti anni che non ricordavo più la maggior parte dei particolari annotati su quel diario. Li ho ora riscoperti rileggendoli (e di taluni mi sono perfino stupito), ma certamente non saprei dirne nulla di più.
Qual è stato l’epilogo di questa storia? Quel ragazzo è riuscito a recuperare il suo ritardo iniziale ed i due mesi di studio persi, ed ha concluso la IV Classe superando gli esami con dei voti lusinghieri. La sua media finale è stata tuttavia significativamente depressa dal voto di
“attitudine professionale” che, essendo espressione dell’insindacabile giudizio del Comando dell’Accademia, è risultato del tutto coerente con il pensiero espresso dal Direttore dei Corsi Allievi (il cosiddetto K3) dopo il giuramento.
All'uscita dell'Accademia, il giovane Ufficiale non è stato incluso nell’equipaggio del
Corsaro II, come si attendeva, ma ha per contro partecipato, poco dopo, alle prime prove in mare, alla prima crociera (invernale) ed alla prima regata (vittoriosa) della più nuova Stella Polare.
Successivamente, pur avendo avviato la propria carriera con un visibilissimo svantaggio iniziale (cioè collocato nella parte più bassa della classifica), ed avendo conseguentemente dovuto percorrerla tutta
“in salita” ed in situazioni occasionalmente burrascose, egli l’ha conclusa nel migliore dei modi, conseguendo l'ambita promozione ad ammiraglio. Non si è mai pentito delle scelte operate. Ha sempre potuto rimanere leale e trasparente, e non ha mai dovuto forzare la propria indole, né tradire i propri principi.
Ha lasciato il servizio attivo con lieve anticipo per poter dedicare qualche anno anche all’altra grande passione della sua vita, quella di scrittore. Ma egli conserva comunque la massima fierezza per l’intera sua esperienza professionale ed umana nella
Marina Militare, forza armata nella quale ha avuto il privilegio di prestare la propria opera per tanti decenni, avendo altresì il piacere di incontrarvi una stragrande maggioranza di persone degnissime, quanto a preparazione, capacità, perspicacia, dirittura, dedizione e spirito di sacrificio.



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