QUESTIONI DI CUORE

Cronologia sintetica di una breve, fresca e benefica degenza
nel periodo più torrido ed afoso dell'estate 2015


di  DOMENICO CARRO 

1. L'infarto silente (Lavinio, 18-21 luglio)

Sabato 18 luglio: sono alla spiaggia, anzi proprio in acqua quando avverto un anomalo e persistente senso di oppressione sulla parte anteriore del torace. In quei giorni avevamo frequentemente messo le bottiglie d'acqua nel congelatore ed avevo probabilmente esagerato nel bere quel ghiaccio fuso, ad una temperatura non molto lontana dallo zero. Rimango dunque tranquillamente a mollo con Bianca, Lucrezia ed il piccolo Valerio, perché con questa afa il solo posto in cui si sta bene è in acqua. Verso l'una, doccia fredda all'uscita nord dello stabilimento balneare, poi 80 scalini per risalire dalla spiaggia alla strada, un paio di centinaia di metri a piedi ed infine 20 scalini per salire a casa. Nella rimanente parte del giorno lavoro alla messa a punto finale del saggio sulle Deceres Liburnicae da pubblicare negli atti del recente convegno storico cui ho partecipato a Ravenna.

Domenica 19 luglio: sono nuovamente alla spiaggia, in acqua. Quell'anomalo e persistente senso di oppressione sul petto è ancora presente ed inizia ad innervosirmi per la sua posizione focalizzata alla base dello sterno, inevitabilmente preoccupante anche se potrebbe corrispondere alla bocca dello stomaco. Bianca mi chiede se voglio andare al pronto soccorso: non mi sembra il caso perché è domenica e sarà affollatissimo. Ci ripromettiamo dunque di andare dal medico lunedì mattina. Valerio viene con noi nell'acqua alta, nuotando beatamente con i braccioli. Verso l'una, solita doccia fredda all'uscita dallo stabilimento, 80 scalini in salita ed altri 20 fino a casa. Nel pomeriggio lavoro alla rielaborazione grafica delle immagini da pubblicare nel mio saggio sulle Deceres Liburnicae. In serata, barbecue in giardino con bruschette, salsicce, patate nella cenere e Chianti rosso. Dopo cena ci raggiungono Oreste e Renata per un gelato e qualche bicchierino. Rimaniamo a chiacchierare al fresco, sotto il gazebo, fino a mezzanotte e mezza.

Lunedì 20 luglio: quei sintomi molesti dei due giorni precedenti sono del tutto cessati. In mattinata vado comunque dal medico con Bianca: dopo un paio d'ore di caldo nella gremitissima sala d'attesa dello studio, finalmente mi visita il dottore, che diagnostica subito un'ernia iatale e mi prescrive i relativi farmaci. Ad ogni buon conto, per non lasciare margini di dubbio, mi mette in nota per una visita dal cardiologo che verrà in questo stesso studio il giorno seguente. Nel pomeriggio completo la documentazione relativa al mio saggio Deceres Liburnicae ed invio il tutto a Ravenna per la pubblicazione. Ora non ho più pendenze e posso godermi la vacanza ed il nipotino, che tuttavia è rimasto male perché il televisore in camera da letto non funziona più. Allora vado in macchina da Euronics, ne prendo uno nuovo e lo installo subito al posto di quello vecchio. Ho iniziato a prendere le medicine per l'ernia iatale e mi sento già meglio.

Martedì 21 luglio: la mattinata inizia con una spesa di pane e di qualche altra cosa, con Bianca, in macchina. Tornati a casa provvedo come sempre a tagliare a fette le due grosse pagnotte di grano duro; ma lo faccio da seduto perché il caldo afoso consiglia di limitare al minimo ogni sforzo. Alle 10.30, visita dal cardiologo, con elettrocardiogramma ed un mini ecocardiogramma: mi dice che c'è un piccolo problema "in una macchina sana"; per rimuoverlo, dovrei farmi portare da qualcuno al pronto soccorso di un ospedale idoneo (preferibilmente a Roma), che procederà certamente alla coronografia la mattina seguente, mettendomi probabilmente un paio di stent e ponendomi in tal modo fuori pericolo. Chiamo Bianca, che è rimasta fuori, e le faccio ripetere il tutto, visto che si stava profilando un breve rientro a Roma con una certa urgenza. Questa prospettiva di pronta soluzione del problema mi è parsa subito estremamente rassicurante, mentre è risultata duramente traumatizzante per Bianca. Ci rimettiamo in macchina e guido nel breve tragitto fino a casa, entrando poi a marcia indietro nel giardino perché non mi è consentito guidare ulteriormente, essendo "a rischio d'infarto".

2. Al pronto soccorso (Lavinio-Roma, 21 luglio)

Martedì 21 luglio, ore meridiane: superato, per necessità, il primo momento di crisi, Bianca avvia un'impressionante serie di telefonate a tutte le sue conoscenti di Lavinio per trovare celermente un idoneo mezzo di trasporto che mi porti al pronto soccorso a Roma. Mi sento perfettamente in grado di guidare io stesso, ma assisto pazientemente, perché questo è il ruolo che mi spetta da "paziente". Vengono così richiesti un'ambulanza privata ed anche un taxi come riserva. Arriva prima il taxi, ma quando anche l'ambulanza è già partita: il taxi viene pertanto mandato via, dopo avergli pagato la corsa, e poco dopo arriva l'ambulanza. Segue una breve discussione per convincere i due operatori (l'autista soccorritore e l'infermiere) a portarmi a Roma, perché essi sostengono che, non essendoci il medico a bordo, dovrebbero portarmi al pronto soccorso più vicino, ovvero ad Anzio. Ad Anzio, tuttavia, manca l'unità coronarica: lì mi attenderebbe una degenza di un paio di giorni in osservazione ed un successivo trasferimento a Latina. L'autista si convince allora a portarci al S. Eugenio (il più vicino ospedale di Roma), mentre l'infermiere si piega controvoglia, raccomandandomi di segnalare qualsiasi disturbo, affinché possano eventualmente dirottare a Pomezia.

Dopo meno di 40 minuti raggiungiamo il S. Eugenio ed entriamo direttamente all'interno del pronto soccorso, saltando quindi la preselezione del cosiddetto triage. Mi fanno scendere dall'ambulanza in barella (la considero una sceneggiata necessaria) e, dopo aver preso visione del referto del cardiologo, mi portano in una bella sala perfettamente attrezzata per monitorare tre persone per volta (siamo inizialmente in due, ma presto rimango solo), mentre da una porta laterale si intravvede un'altra analoga sala ancor più grande. Mi prelevano il sangue e mi attaccano al monitor che si vede nella foto. Ogni tanto passa un medico che mi dice di pazientare, perché gli esami non sono ancora pronti. Telefono a Bianca, che è rimasta fuori; a telefonata conclusa, ripassa il medico mi dice di non usare il cellulare (probabilmente interferisce con le apparecchiature in loco). Dopo un poco mi raggiungono Bianca ed il medico, che comunica che stanno per inviarmi al reparto di Cardiologia - UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologica). Il trasferimento avviene subito e, nel tragitto, mi fanno fare al volo una radiografia al cuore.

3. La terapia intensiva (Roma, 21-25 luglio)

Martedì 21 luglio pomeriggio: vengo sistemato in una saletta con un solo letto e tantissime apparecchiature evidentemente appartenenti alla migliore tecnologia odierna. Ai miei piedi (vedi foto) si apre una porta che mi mette in comunicazione diretta con la sala in cui si trova normalmente il personale di guardia: due infermiere (tutte femmine) ed un medico di turno (maschio o femmina). Scopro poco dopo che vi sono sei salette come la mia (io sono il numero 5), tutte egualmente affacciate alla predetta sala, mentre alle spalle abbiamo un'altra porta che si apre sul corridoio da cui passano i visitatori. Le infermiere dei vari turni sono una più efficiente dell'altra: sono permanentemente in movimento, vengo ogni due per tre a misurare la pressione, a prelevare campioni di sangue, a portare medicine, a cambiare le lenzuola di sopra e di sotto facendoti fare dei movimenti minimi, a lavarti senza creare troppo imbarazzo (i pazienti sono nudi come vermi) e ad accorrere immediatamente non appena il pulsante di chiamata viene appena sfiorato. Noi 6 non siamo nemmeno i soli ospiti dell'UTIC, perché ve ne sono perlomeno altrettanti più avanti, ma con un altro gruppo di infermiere. Un medico mi viene a trovare e mi comunica, come mi attendevo, che la mattina seguente sarei stato messo nel programma delle coronografie, purché io firmassi la liberatoria, cosa che mi sono ovviamente affrettato a fare. Alle 17 arriva Bianca che mi raccomanda di avvisarla, domani, quando mi porteranno a fare la coronografia. Mi porta via il cellulare, supponendo che fosse vietato.

Mercoledì 22 luglio: il primo evento significativo della mattina è la coronografia, cui assisto con interesse e qualche divertimento (per la musica a tutto volume e le disinvolte chiacchiere fra medici ed infermiere, come nelle varie serie di telefilm del genere), ma purtroppo senza riuscire a vedere l'intervento perché il grosso sensore della TAC continuava a frapporsi fra i miei occhi e lo schermo, pur muovendosi repentinamente avanti ed indietro passando a pochi centimetri dal mio naso per inquadrare il cuore dalle varie angolazioni, evidentemente guidato dal computer. Rientrato in stanza, ho ricevuto la visita di una dottoressa, che mi ha detto che ero un po' troppo tranquillo ed ansioso di andarmene, visito che avevo avuto un infarto. Questo mi ha davvero sorpreso, tanto che le ho chiesto se davvero, secondo la terminologia tecnica medica, quell'evento così blando da cui ero stato interessato potesse realmente essere definito "infarto". La conferma di questa diagnosi non mi ha in acun modo impressionato, perché avevo l'evidenza dell'elevata qualità delle cure di cui ero oggetto e della sicura efficienza e sollecitudine di tutto il personale medico e paramedico che mi attorniava, in quella struttura bella, razionale e perfettamente attrezzata. Poco dopo mezzogiorno Bianca ha potuto parlare con la dottoressa, com'è previsto tutti i giorni, e la notizia del mio inconsapevole infarto non l'ha particolarmente rincuorata. Alle 17, unico orario delle visite, sono entrati prima Marzio e Lucrezia, e poi Bianca. Ho cercato di trasmettere loro la mia sensazione di benessere e di fiduciosa attesa della conclusione della degenza, ma non sono certo di esserci riuscito del tutto. Tuttavia ho riavuto il mio cellulare.

Da Giovedì 23 a Sabato 25 luglio: la degenza all'UTIC prosegue senza novità di rilievo, tranne il giallo sulla mia gamba destra, rimasta immobilizzata per 24 dopo la coronografia (effettuata dall'arteria inguinale destra) e che pareva non potersi più alzare al mio comando. La prima infermiera cui l'ho detto ha sollevato il lenzuolo dicendo "la alzi ora"; con ogni mio sforzo la gamba si è spostata di un paio di centimetri scarsi: e allora lei: "vede che si muove?". Il mattino seguente ho detto ad un'altra infermiera che la gamba non si muoveva; lei ha risposto subito: "e allora non la muova!". Pare strano, ma avevano ragione entrambe: al terzo giorno il problema risultava superato. La disponibilità del cellulare mi ha rimesso in contatto con gli amici e con la Rete. Ai messaggini un po' allarmati ricevuti via SMS o WhatsApp ho risposto con frasi del genere, riflettenti nel modo più fedele il mio stato d'animo ed il mio pensiero effettivo: "Niente panico! Per me, solo qualche piccola terapia di routine, in un ambiente perfettamente climatizzato, al riparo dall'afa. Una breve vacanza fuori programma." Oppure anche: "Mi sento in forma perfetta, ma mi tocca pazientare qualche giorno in attesa che anche i medici se ne rendano conto."

4. La degenza "sub-intensiva" (Roma, 25-29 luglio)

Sabato 25 luglio: in mattinata vengo trasferito alla cosiddetta unità "sub-intensiva", in una stanza libera a due letti, di cui scelgo quello vicino alla finestra. Mi hanno tolto tutti gli elettrodi incollati sul torace, ho potuto rimettere i pantaloncini corti del pigiama, ed ho finalmente un bagno con doccia in camera, a mia disposizione. Questo ritorno alla mobilità appare come una conquista straordinaria, dopo soli tre giorni e mezzo di immobilità nel letto dell'UTIC. Ora le visite sono previste sia alle 12 che alle 17; il cibo è un po' meno insipido, ma ancora non particolarmente appetibile: questo è utilissimo alla dieta. Il mio compagno di stanza, che mi raggiunge poco dopo, è una persona piuttosto chiacchierona, ma sempre cortese ed estremamente corretto e generoso: non mi poteva capitare di meglio. Qui l'aria condizionata è meno intensa di quella dell'UTIC (ove una delle ultime notti avevo chiesto una coperta, perché sentivo proprio freddo), ma è alla temperatura ideale per non soffrire il caldo torrido di questo periodo. Non ci sono solo infermiere, ma anche degli infermieri, tutti molto gentili e disponibili. La pulizia è perfetta, come lo era anche all'UTIC.

Da Domenica 26 a Martedì 28 luglio: la degenza prosegue nel modo più tranquillo e rilassante che si possa immaginare, sempre accuratamente controllati e curati da medici ed infermieri. Le passeggiate per i corridoi sono molto rilassanti. Non abbiamo il televisore in camera, come all'UTIC, ma c'è una saletta TV ove poter vedere qualche telegiornale o qualche film. Anche per questo periodo i messaggini che ho inviato a qualche amico riflettono bene le mie sensazioni ed il mio atteggiamento mentale: "A livello soggettivo, sto vivendo questo breve periodo di riposo forzato in modo totalmente e piacevolmente rilassato, al fresco di questa bella ed efficiente struttura, magnificamente assistito da medici ed infermieri/e che ispirano la massima fiducia. Questa pacchia terminerà fra qualche giorno e poi sarò nuovamente operativo, sebbene con qualche ovvia precauzione"; ed il 28 luglio: "Sto degustando questo ultimo giorno di rilassamento e di pacchia, al fresco, in buona compagnia e con un'assistenza ineccepibile, in attesa dell'ormai imminente ritorno a casa, previsto per le ore meridiane di domani."

Mercoledì 29 luglio: è finalmente giunto il giorno della dimissione dall’ospedale, dopo un totale di 8 giorni di degenza. Poco prima delle 12 mi vesto: pantaloncini corti e maglietta leggera, perché fuori c'è ancora l'afa. Alle 12 arriva Bianca. Con lei vado alla farmacia interna a ritirare le medicine che ci danno gratuitamente per portarle a casa. Al ritorno in stanza ci aspetta il medico che ci fornisce tutta la documentazione e le istruzioni per il prossimo mese, avendomi già prenotato la visita di controllo per il 31 agosto. Dice che l'ecografia fatta ieri ha evidenziato un cuore che non presenta alcun sia pur minimo segno dell'infarto subito (infarto comunque testimoniato dalla presenza degli enzimi cardiaci, molto alti nei primi giorni e progressivamente diminuiti). Le sue raccomandazioni, messe anche per iscritto, sono pertanto piuttosto blande: devo fare una settimana di riposo a casa, e poi riprendere gradualmente tutte le attività, senza alcun particolare vincolo; devo anche camminare per almeno 30-40 minuti al giorno e seguire una dieta ipocalorica e priva di grassi animali. Lo salutiamo con gratitudine, usciamo e torniamo a casa con l'unico taxi di tutta Roma privo di aria condizionata (finestrini aperti, come si usava nel secondo millennio).


Privacy Policy
TESTI TABLINVM www.carro.it home

striscina