CORAZZATA ROMA
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All'alza-Bandiera dell'8 settembre, alle otto in punto, vedemmo salire all'albero di maestra l'azzurra insegna a tre stelle del Comandante in Capo delle FNB: da quel momento la corazzata Roma ridiventava la nave di bandiera dell'ammiraglio Bergamini, come lo era stata dal 15 aprile (data del nostro imbarco) al 5 giugno, giorno delle due bombe americane. Essendo subito iniziata l'intermittente processione del numeroso personale del Comando FNB che imbarcava alla spicciolata, attesi che fra di essi tornasse a bordo un altro compagno di corso: Lorenzo, il migliore di noi. La nostra presenza sul Roma saliva quindi a 14 Squali, di cui 11 Guardiamarina (Lorenzo Alvigini*, Angelino Brozzu*, Vincenzo Casini, Arturo Catalano Gonzaga di Cirella, Armando Gotelli*, Ernesto Guidotti*, Antonio Meneghini, Vladimiro Rossi, Michele Scotto, Italo Tropea* e Marcello Vacca Torelli) e 3 Sottotenenti G.N. (Sebastiano Garbarino*, Mario Moscardini* e Emilio Rabitti*). Non potevamo certo immaginare che il giorno dopo il fato ne avrebbe falciati otto*. In quel momento eravamo solo impazienti di avere al più presto la conferma della nostra partenza per andare a contrastare le forze da sbarco nemiche segnalate in avvicinamento alle coste della Campania.
L'ammiraglio Bergamini, tuttavia, non era ancora a bordo: stava rientrando in automobile da Roma, ove il giorno precedente si era incontrato con il Ministro e con l’ammiraglio Massimo Girosi, Capo Reparto Operazioni ed Addestramento di Supermarina. Al primo egli aveva dato piena assicurazione che la Flotta era pronta a salpare per combattere nel Tirreno meridionale la sua "ultima battaglia", e che gli Stati Maggiori delle navi erano fermamente decisi ad impegnarsi fino all'estremo delle possibilità, senza escludere il sacrificio anche totale. Con il secondo egli aveva esaminato l'esaustivo contenuto degli ordini di operazioni già pronti per quell'ultima uscita della FNB, cui era stato assicurato il pieno supporto delle forze aeree italiane e germaniche: ordini del tutto chiari e risoluti, che contemplavano la continuazione del combattimento ad oltranza anche da parte di navi gravemente colpite, da portare eventualmente in secca pur di continuare a sparare. Nel pomeriggio egli aveva partecipato ad una riunione ammiragli convocata dal Ministro per illustrare verbalmente, ai titolari degli Alti Comandi navali e periferici, il Promemoria n. 1 del Comando Supremo, presentato come una serie di misure di sicurezza intese a fronteggiare un eventuale colpo di mano tedesco per assumere il controllo delle nostre forze armate (per sottrarre la navi a questa ipotetica minaccia, erano previsti trasferimenti verso sud). Quella stessa sera, in aderenza agli ordini di Supermarina per contrastare lo sbarco nemico, vi erano già 21 sommergibili italiani contemporaneamente in agguato lungo le probabili rotte di avvicinamento dei convogli angloamericani, mentre la X Flottiglia MAS era stata messa in stato di allarme.
Alle 10 del mattino dell'8 settembre il Comando FNB trasmise a tutte le navi l'ordine di accendere le caldaie. Erano infatti pervenuti gli ordini che Supermarina aveva già emanato verso le otto, dopo aver ottenuto l'assenso del Comando Supremo: la flotta doveva essere pronta a muovere alle ore 14, in modo da poter raggiungere le acque del Tirreno meridionale nelle prime ore del giorno 9 ed intervenire nella fase massimamente critica dell'inizio dell'operazione nemica di sbarco anfibio. A tal fine veniva assegnato alla FNB il consistente concorso aereo accordato dalla Regia Aeronautica e dai reparti di bombardieri tedeschi, il cui personale di collegamento era già imbarcato sulle nostre tre corazzate. Si partiva! Si andava finalmente "a bollire nel calderone", secondo la strampalata espressione usata dall'equipaggio. A bordo la gente si mostrava più tranquilla del solito, e certamente più assorta. Quasi tutti vollero scrivere le ultime righe a casa, assicurando che tutto andava per il meglio. Nel nostro "quadratino" vi era gioia e commozione. Andai a rileggere una frase che avevamo scritto nel libro del nostro Mak p: "Ci avviamo oggi verso la guerra portando chiusi nel cuore i sentimenti che l'Accademia ci ha affidato in prezioso patrimonio di fede e di dedizione". Sarà dura, pensavo, ma la renderemo molto dura anche a quei bastardi!
Alle 10 del mattino, cioè solo due ore dopo l'ordine di prepararsi a partire alle 14, Supermarina dispose, con un nuovo messaggio, che tutte le unità della FNB presenti alla Spezia si trasferissero in rada, rimanendo poi pronte a muovere in due ore; lo stesso approntamento doveva essere assunto dalla VIII Divisione Navale, che si trovava a Genova. Apprendemmo molto tempo dopo che quella modifica - apparentemente solo formale - era scaturita dall'intervento del Comando Supremo (retto dal Generale d'Armata Vittorio Ambrosio), che aveva subordinato la partenza della flotta ai propri successivi ordini. Un'ora dopo, Supermarina aveva confermato al Comando FNB la validità degli ordini inviati la sera prima per i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Antonio da Noli: queste due unità dovevano trasferirsi da Genova e La Spezia a Civitavecchia, giungendovi il mattino del 9 e rimanendovi pronte a muovere in quattro ore. Tale predisposizione, anch'essa derivata da una richiesta del Comando Supremo, appariva collegata alle già citate misure di sicurezza da attuare per fronteggiare un eventuale colpo di mano tedesco: le due navi dovevano servire "per l'eventuale spostamento di augusti personaggi" (casa Savoia) in Sardegna, isola reputata non soggetta all'eventuale minaccia tedesca, né a quella angloamericana.
Ero di guardia al barcarizzo quando l'ammiraglio Bergamini rientrò dalla Capitale, alle 13, accolto dal suo Capo di Stato Maggiore, Contrammiraglio Stanislao Caracciotti, e dal Comandante Del Cima. Venne subito informato delle diverse direttive pervenute in mattinata e della situazione di approntamento della FNB. Mezz'ora dopo egli chiamò Supermarina per ottenere i necessari chiarimenti. Gli rispose dalla centrale operativa di Santa Rosa il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio di Squadra Luigi Sansonetti, che, pur conoscendo la sicurezza di quelle comunicazioni in telearmonica, fino allora mai violate dal nemico, scelse accuratamente ogni parola per evitare il rischio di compromissione del segreto in caso di intercettazione della conversazione. In sintesi egli disse che l'approntamento in due ore era stato ordinato per tener conto della aumentata probabilità che si rendesse necessario reagire ad un colpo di mano tedesco ed attuare le conseguenti misure del Promemoria n. 1 del Comando Supremo. Qualora si fosse profilato un altissimo rischio di cattura, l'ordine esecutivo sarebbe stato impartito con la frase convenzionale "Raccomando massimo riserbo". In tal caso, tutte le navi avrebbero dovuto uscire in mare ed autoaffondarsi in alti fondali, oppure anche in porto se impossibilitate ad uscire. L'ammiraglio Sansonetti aggiunse che occorreva anche tener conto dell'eventualità che Supermarina non fosse più in condizione di emanare quell'ordine: in tal caso, disse: "ti regoli tu con il tuo giudizio, con l'idea che tutto è possibile, salvo ciò che in qualsiasi maniera possa menomare l'onore della Bandiera".
Venne allora convocata una riunione di tutti gli ammiragli e comandanti delle navi della FNB presenti alla Spezia. Verso le 15.30, nella grande Sala Consiglio della corazzata Roma, l'ammiraglio Bergamini accennò innanzi tutto alla sempre più deteriorata situazione nazionale, nella quale la Regia Marina rimaneva, per sua natura, la sola forza ordinata e coesa. Poi, nel riferire i punti salienti delle misure previste dal Promemoria n. 1 del Comando Supremo e dall'ordine "Raccomando massimo riserbo", sottolineò che in ogni caso, anche in assenza di ordini, nessuna nostra nave doveva cadere in mano straniera: in mancanza di alternative occorreva autoaffondarsi, ed utilizzare anche le cariche di autodistruzione se vi era il rischio di recupero dello scafo da parte angloamericana. Per espresso ordine del Re nessuna vita umana doveva essere sacrificata in questi affondamenti. La riunione terminò circa un'ora dopo. Successivamente le corazzate Roma ed Italia furono portate dai rimorchiatori fuori dalla Darsena, dando fondo in rada vicino al Vittorio Veneto, già ormeggiato ad una boa telefonica. Nel frattempo Supermarina aveva disposto che sei torpediniere (Pegaso, Impetuoso, Orsa, Ardimentoso, Libra, Orione) fossero messe a disposizione della FNB, con la principale funzione di recuperarne gli equipaggi in caso di autoaffondamento delle navi in alto mare.
A bordo, tutte le menti permanevano concentrate sul durissimo impegno bellico al quale ci eravamo preparati e per il quale stavamo per prendere il mare. Ogni altra ipotesi, inclusa quella dell'eventuale autoaffondamento, appariva come un astratto esercizio di pura speculazione mentale. Era ormai buio. L'approntamento era stato ultimato, i viveri erano al completo, le caldaie erano in pressione, le macchine pronte a muovere, le bettoline dei rifornimenti e le reti parasiluri erano state allontanate, le carte nautiche per la navigazione fino al golfo di Salerno erano stese sui tavoli di rotta, i rimorchiatori erano pronti sottobordo a dare assistenza. L'orario delle mense era stato anticipato per poter avere tutti gli uomini ai loro posti fin dall'inizio della navigazione. Eravamo tutti assorti nei nostri pensieri, quando l'insolito silenzio che accompagnava la nostra cena nel Quadrato Ufficiali venne rotto da qualche sparo in lontananza, seguito da altri spari, un crepitio di mitragliere, il montante vociare dei marinai in coperta e l'irruzione del marò Santino, la nostra ordinanza, che balbettò concitatamente: "la radio … l 'armistizio … la guerra è finita!".
Andammo fuori: il cielo sulla rada era illuminato da razzi da segnalazione multicolori e da proiettili traccianti sparati dalle batterie costiere in segno di festa. Un'analoga gioia collettiva aveva contagiato molti dei nostri marinai in coperta, che scaricavano la tensione ridendo ed abbracciandosi, mentre altri rimanevano stralunati ed attoniti. Tuttavia non fu difficile raffreddare quell'irrazionale e tragica euforia, raccomandando a quei ragazzi di attendere a vedere le conseguenze della sconfitta. Parlai con molti marinai, pieni di confuse speranze, ma ragionevoli come sempre: non c'era da temere per la disciplina. Su tutte le navi i Comandanti convocarono l'assemblea dell'equipaggio a poppa per spiegare il senso dell'armistizio. Sul Roma, il Comandante Del Cima disse con voce bassa e cupa che ogni manifestazione di gioia era decisamente fuori posto: "E' morta infatti la nostra Patria, la nostra cara madre".
Come lui, anche noi tutti avevamo la morte nel cuore. Sembrava un incubo: pareva incredibile che quel traumatico sconvolgimento ci fosse rovinato addosso all'improvviso. Eppure oggi sappiamo che non vi fu nulla di improvviso, poiché i contatti - ovviamente segretissimi - del Governo Badoglio con gli Anglo-Americani avevano portato alla firma della resa incondizionata fin dal 3 settembre, con il formale impegno di attuare, al momento della proclamazione dell'armistizio militare, una serie di provvedimenti navali non preventivamente vagliati da alcun esponente della Regia Marina (il cosiddetto Promemoria Dick, stilato dagli Inglesi per neutralizzare in poche ore la nostra flotta). La data di proclamazione dell'armistizio era strettamente legata all'imminente sbarco navale sulla costa tirrenica, proprio perché gli Anglo-Americani avevano la necessità di eludere l'opposizione della flotta italiana.
Quella stessa mattina Badoglio aveva tentato di ritardare l'armistizio, non avendo ancora predisposto alcunché, ma la controparte aveva ovviamente rifiutato. Era stato pertanto convocato al Quirinale il Consiglio della Corona, alle ore 18, per consentire al Re di valutare il da farsi. Ma ormai il dado era stato tirato, alquanto malamente. La decisione regia si era pertanto limitata ad una fiacca e rassegnata convalida dell'inesorabile annuncio della resa dell'Italia, diffuso da Radio Algeri alle 18.30.
Solo nella successiva riunione convocata dal Comando Supremo, il Ministro della Marina, ammiraglio de Courten, aveva potuto prendere conoscenza delle clausole navali dell'armistizio (le sole veramente importanti ai fini degli Anglo-Americani), che prevedevano l'immediato trasferimento della Flotta nelle località che sarebbero state indicate. Egli aveva reagito duramente: “Avete fatto olocausto della Flotta, che era l’unica forza rimasta salda nel Paese …darò ordine che essa si autoaffondi questa sera stessa"; ma era poi tornato a più miti consigli, avendo ricevuto dal generale Ambrosio l'assicurazione che gli Anglo-Americani avrebbero rispettato l’onore delle nostre navi. Mentre venivano dibattute queste gravi questioni, Badoglio aveva letto ai microfoni dell'EIAR il proprio storico ed ultimo proclama.
Gli apparati radio del Roma avevano ovviamente intercettato sia l'annuncio di Radio Algeri delle 18.30, sia quello dell'EIAR delle 19.45. Allertato dal primo, l'ammiraglio Bergamini aveva riunito il proprio Stato Maggiore e valutato che la nuova situazione, qualora confermata, comportasse necessariamente l'autoaffondamento delle navi, in linea con le direttive di Supermarina di poche ore prima. Il tenore del secondo annuncio lo mandò su tutte le furie, poiché implicava un retroscena di passi preliminari che il Ministro gli aveva nascosto nel suo lungo incontro del giorno prima. Fece immediatamente mettere in acqua il proprio motoscafo e si recò a bordo del Vittorio Veneto, l'unica nave ancora collegata a terra con telefono e telearmonica, essendo ormeggiata ad una boa telefonica. Lì convocò un'altra riunione dei comandanti per le ore 22 e chiamò subito l'ammiraglio de Courten. Nel corso di quella drammatica comunicazione telefonica, iniziata alle 20.30, egli presentò subito le proprie dimissioni, sdegnato per la palese prova di sfiducia dimostrata dalla reticenza del suo interlocutore.
Il Ministro replicò ch'egli stesso aveva avuto solo poche informazioni marginali - passategli sotto il vincolo del più assoluto segreto - e che, in ogni caso, l'attuale situazione esigeva il pronto allontanamento della flotta dagli attuali porti; occorreva infatti sottrarla alle prevedibili ritorsioni germaniche ed attenersi lealmente alle dure clausole armistiziali, come era stato ordinato dal Re. In particolare era previsto l'immediato trasferimento notturno della flotta in zone controllate dagli Anglo-Americani. Tuttavia la tardiva comunicazione dell'armistizio non consentiva più alla FNB di partire in tempo utile per raggiungere la destinazione al mattino seguente. Pertanto, la flotta si sarebbe intanto diretta verso La Maddalena, ove Supermarina aveva già inviato i documenti relativi ai movimenti successivi. La sosta nella base navale sarda sarebbe avvenuta in concomitanza con il trasferimento del Re e del Governo nella stessa località. In Sardegna sarebbero rimasti almeno un incrociatore e quattro cacciatorpediniere a disposizione del Sovrano, secondo quanto già approvato dagli Anglo-Americani, ma ancora si sperava di potervi lasciare l'intera FNB. Altrimenti le rimanenti navi avrebbero completato nella successiva notte la navigazione verso le previste destinazioni, dove esse sarebbero state sottoposte a delle misure precauzionali di sicurezza, ma nel rispetto della Bandiera e dell’onore militare. L'opzione dell'autoaffondamento dell'intera flotta andava ormai scartata per non disperdere una risorsa il cui ruolo era ancora importante, anche perché gli Anglo-Americani avevano stabilito (Memorandum di Quebec) che una nostra effettiva collaborazione navale avrebbe mitigato il duro trattamento che i vincitori intendevano imporre all'Italia.
L'ammiraglio Bergamini condivise le motivazioni esposte dal Ministro. Si recò quindi nella Sala Consiglio e si rivolse a tutti gli ammiragli e comandanti dipendenti ricordando che, con la cessazione delle ostilità con gli Anglo-Americani, si configurava come imminente un gravissimo contrasto con la Germania. Dopo aver confermato la perdurante validità delle istruzioni impartite nel pomeriggio, comunicò che tutte le unità della FNB, incluse quelle in sosta per lavori ma in grado di navigare, dovevano approntarsi al trasferimento, rifornendosi ulteriormente di viveri nella massima quantità possibile. La destinazione finale delle navi - in Sardegna o altrove - non era ancora certa, ma sarebbe stata comunicata il giorno seguente. In ogni caso, per la flotta non si trattava di una resa: sulle nostre navi la Bandiera non sarebbe mai stata ammainata. Ad una domanda rispose che non si poteva escludere che le navi fossero attaccate tanto dai Tedeschi quanto dagli Anglo-Americani: occorreva pertanto mantenersi pronti a reagire ad ogni offesa, da chiunque fosse pervenuta. Disse infine che nei trascorsi 40 mesi di guerra la Marina aveva già dato straordinarie prove di valore e di abnegazione, con il sacrificio di 12.000 caduti e 40.000 dispersi; ma in quel momento era più che mai necessario ch'essa rimanesse forte e compatta nello spirito, essendo destinata a permanere uno degli organi più saldi sui quali basare la ricostruzione della Patria.