[1] Il 10 maggio 1898 il Prof. Nicola d'Ammacco fondava i "Magazzini d'Ammacco" per la vendita all'ingrosso e al dettaglio di tessuti in genere mercerie, confezioni, cappelleria, ecc.
Poiché la sua principale attività era la direzione della Banca da lui creata, fu coadiuvato nella gestione del magazzino dal figlio Rag. Domenico.
Fu un avvenimento per Taranto quando il 10 maggio 1913 la Ditta si trasferì negli attuali locali [di Via d'Aquino 130-140], dando così vita ai "Grandi Magazzini d'Ammacco", che furono paragonati ai famosi magazzini "Miccio" di Napoli. I magazzini allargarono la loro sfera di azione avendo sin da allora suddiviso i reparti con un criterio che ancora oggi è ritenuto fra i più razionali: reparto tessuti uomo e donna per abbigliamento, reparto confezioni uomo donna bambini, reparto biancheria, reparto arredamento.
Furono certamente i più grandi magazzini della Puglia, forse i più grandi del meridione e fra i più grandi d'Italia. Non si è fatta una indagine in proposito, ma si crede di poter affermare che, forse, è l'unico "Grande Magazzino" che dal 1898 ad oggi [1962] è ancora in proprietà dei discendenti in linea diretta dal fondatore.
[2] Il Prof. Nicola d'Ammacco il 15 Novembre 1921 formava una società in nome collettivo fra i suoi figli Rag. Domenico, Giuseppe e Manlio, mediante la quale affidava completamente ai suoi figli maschi l'intera gestione dell'azienda. In quegli anni, anche per la congiuntura favorevole della guerra – che specie a Taranto, per la presenza del concentramento navale degli alleati, era stato propizia – l'azienda era ormai nel periodo di espansione e di affermazione.
Con atto "notar Monticelli" il 2 marzo 1925 il contratto di società collettiva fu autenticato e la Ditta creata con la ragione sociale "SUCCESSORI RAG. NICOLA d'AMMACCO" fu anche iscritta alla Camera di Commercio di Taranto al N° 1 del registro delle Ditte.
In tale contratto di società il Fondatore volle principalmente stabilire due concetti, e cioè:
1°) All'art. 10 è detto che, avvenendo la morte di uno dei soci, a lui subentreranno i suoi eredi maschi.
2°) Mancando eredi maschi, la Società resta consolidata nei soci superstiti.
A quell'epoca (15 Novembre 1921) la situazione era la seguente:
- Domenico, cl. 1883, era sposato ed aveva 6 figli, di cui 5 femmine ed un maschio [Nicola]
- Giuseppe, cl. 1886, era sposato da molti anni e non aveva figli e si sapeva che non ne avrebbe avuti,
- Manlio, cl. 1892, era ancora scapolo.
[3] Nel 1937 avveniva la morte del Fondatore della Ditta, il Prof. Nicola d'Ammacco. Alla sua morte la situazione era sempre di un solo erede maschio, e cioè il figlio [Nicola] del suo maggiore figliolo [Domenico] e collaboratore in tutte le attività mercantili, bancarie e industriali. Ancora oggi le poche società che sopravvivono a Taranto sono state create da lui con la collaborazione del figlio Domenico.
Ciò spiega perché alla di lui morte l'unico nipote che ha ricevuto una eredità diretta dal nonno è stato l'unico maschio della famiglia, e cioè il Dott. Nicola d'Ammacco di Domenico.
Il 22 Novembre 1941, scadendo il contratto sociale (la durata era stata stabilita in anni 20), esso fu rinnovato integralmente o quasi per altri 10 anni.
Nel frattempo nella composizione familiare dei tre soci era avvenuta una sola variazione, e cioè il socio Manlio si era sposato ed avevo avuto una figlia. E' da notare che nel 1941 il padre era ormai morto da oltre 3 anni eppure, il contratto sociale non fu modificato. A quell'epoca quindi l'unico d'Ammacco maschio della seconda generazione era il figlio [Nicola] del socio Domenico.
Le cose dell'azienda però non andarono bene come per la prima guerra mondiale.
L'inventario del 1939 dava un risultato di merci di ben 6 milioni. Il giro di affari del 1939 fu anche di 6 milioni.
Il figlio [Nicola] del socio Domenico non era in Ditta perché in Africa e poi ancora richiamato in Italia. I soci, forse per l'età ma principalmente perché non in odore di santità presso le autorità fasciste (non è qui il caso di raccontare le traversie politiche della famiglia), non ebbero il coraggio di spingersi negli affari, ma passivamente vendettero con tutte le regole di allora. Quindi il magazzino, senza rifornimenti, si andò pian piano esaurendo e poiché la vendita avveniva a prezzi controllati non vi fu nemmeno l'incasso ed il reinvestimento in altre attività.
L'azienda così si impoverì e nel 1944 fu solo a disposizione della Prefettura e del Comando in Capo Militare Marittimo per la vendita a prezzi anteguerra ai profughi prigionieri, sinistrati e ... speculatori.
L'ordine di apertura dell'azienda per la vendita di quel poco che era rimasto - e che significava la distruzione totale dell'azienda - furono la causa della sciagura della famiglia.
[4] Il 10 febbraio 1944 il socio Domenico fu colpito da paralisi e per alcuni mesi stette fra la vita e la morte. Le vicissitudini dell'azienda in quel periodo sarebbe fuori luogo raccontare.
Il contratto di società prevedeva che, in assenza del socio Domenico, la firma era devoluta congiuntamente ai due soci Giuseppe e Manlio. In effetti così non fu. Nel luglio del 44 fu fatta una procura dai tre soci di affidare l'amministrazione al figlio del socio Domenico, Dott. Nicola. Da quel momento, di fatto, il Dott. Nicola divenne il capo famiglia.
Purtroppo però, il Dott. Nicola sostituì il padre anche nelle cariche sindacali e così fu sempre più distratto dalle cose dell'azienda, per cui la sua opera nella direzione dell'azienda fu in un primo momento di protezione dagli assalti esterni politici e fiscali e di riorganizzazione. Questa però fu fatta non in profondità anche perché gli zii erano un po' gelosi dei settori a loro affidati, il padre che ormai ristabilitosi non era però in condizioni fisiche di guidare l'azienda, ecc. Quindi, per una serie di fattori interni, l'azienda continuò a regredire. Non si accettava alcuna innovazione; insomma si creò uno stato di cose che se fosse continuato avrebbe portato l'azienda al fallimento.
Intanto, dal ‘51 in poi, i contratti sociali venivano prorogati ogni due anni nella speranza nel frattempo di una via di uscita; il socio Domenico non permise mai che si modificasse una virgola al contratto sociale, specie quando entrò a lavorare in azienda il genero del socio Manlio. Per la verità, forse perché sapevano che su quella che era stata la volontà del loro Padre [il "Professore"] non vi era da discutere, o perché in effetti avevano anche essi considerato il nipote Nicola l'erede della Ditta, mai richiesero modifica ai patti sociali.
Nel 1958 si apprese che il socio Giuseppe aveva contratto dei debiti e, non essendo in condizione di pagare in quanto aveva già prelevato abbastanza dalla sua disponibilità in C/C, avvertiva della cosa il genero. Questi si faceva rilasciare procura generale dal suocero e richiedeva alla Ditta il pagamento dei debiti del suocero. Intanto alcuni creditori cominciavano a richiedere alla Ditta direttamente il pagamento dei debiti. In un primo momento si pagò, ma non si riusciva a sapere con esattezza la cifra; le banche cominciarono ad allarmarsi; per consiglio dei legali si sospese il pagamento ed allora alcune cambiali andarono in protesto. Quindi le cose si aggravavano ogni giorno di più. Le vendite scemavano perché il personale fu preso dal panico. Non si sapeva cosa fare; i legali davano consigli contrastanti. Cominciarono le diffide e contro-diffide. Finalmente si esclusero gli avvocati e prendendo contatti diretti col genero del socio Giuseppe si addivenne ad un accordo per cui si sarebbero pagati tutti i debiti fatti sino ad una certa data, con l'obbligo da parte del genero di pagare lui i debiti che fossero venuti fuori dopo quella data, e naturalmente il socio Giuseppe, anche per le sue condizioni di salute, non scese più in negozio. A questo accordo molto si addivenne perché il socio Domenico volle salvare ancora il nome e perché non gli vollero dare altri dispiaceri.
[5] Nel frattempo, nel '57, data la situazione precaria della Ditta e l'impressione che le merci non corrispondessero alla consistenza contabile, il procuratore Dott. Nicola era finalmente riuscito a far accettare dai soci l'impianto della contabilità meccanizzata e all'istituzione di carico e scarico di magazzino.
Fu una fortuna così che nel '58 si potette controllare la situazione con una contabilità in ordine.
Si pagarono per il socio Giuseppe oltre 25 milioni e questo fu un salasso ben grave. Altra situazione che si dovette affrontare contemporaneamente fu il licenziamento di diverse unità lavorative, che non davano affidamento per varie cause. Gran parte di questo personale aveva trentacinque o quaranta anni di servizio. Le cifre di indennità di licenziamento furono forti e si potette far fronte con la Polizza INA per cui si rateizzò; ma in sostanza ad oggi 14 milioni sono stati accantonati (conto 21 Fondo indennità licenziamento dipendenti e relativa contropartita nel conto 4 Debitori diversi) e quasi altrettanti sono stati pagati al personale licenziato.
Si spesero circa 8 milioni per l'acquisto della macchina contabile IBM e mobili per l'attrezzatura dello studio, le schede, ecc. e la consulenza per l'impianto contabile; si procedette anche ad una specie di rinnovamento nelle attrezzature di magazzino, rinfrescando alcuni reparti, le vetrine, per cui si spesero negli anni 57, 58, 59 e 60 circa 15 milioni.
Nel totale quindi, tra debiti del socio Giuseppe, licenziamenti, impianto contabile e spese di rinnovo, si sono spesi circa 75/80 milioni. Se si considera poi che i tre soci prelevarono negli anni 57, 58, 59, 60 e 61 una cifra aggirantesi su un minimo di tre milioni annui, per ciascuno per un totale di 9/10 milioni annui, si ha una cifra di circa 45 milioni che, sommata ai 75/80 detti, formano un totale di 120 /125 milioni. Sì spiega quindi la crisi finanziaria dell'azienda.
Gli oneri bancari, sempre più aggravantisi, e il mancato guadagno, degli sconti e degli abbuoni attivi che possono calcolarsi su una cifra di 7 / 8 milioni annui, possono dare un quadro abbastanza chiaro delle difficoltà nelle quali la Ditta si è dibattuta in questi anni.
L'essere riusciti quindi a mantenerla ed a ridurre pian piano l'esposizione bancaria (infatti, pur mantenendo alto il livello dei pagamenti alle ditte, si è scesi nello scoperto da 153 milioni a 140 milioni, e si prevede una ulteriore riduzione nei prossimi mesi, con un piano già in atto di pagamenti), è stato un successo.
Tutto questo era stato possibile fare in quanto l'azienda per le innovazioni già apportate cominciava a dare segni di ripresa, in quanto le vendite nel 57 erano salite alla cifra cospicua di 191 milioni con un acquisto di 137 milioni. Quindi vi erano tutte le premesse di poter coprire il disavanzo negli anni futuri senza scosse.
La faccenda Giuseppe quindi venne nel febbraio 1958 a turbare l'andamento della Ditta e da allora fino al giugno non si pensò ad altro che a sistemare i guai e la direzione dell'azienda subì le conseguenze dell'indecisione.
Le banche pressavano e chiedevano rientri, i fornitori pressavano perché cominciava ad essere notoria la situazione. Furono momenti terribili e fu veramente un miracolo se nei primi del luglio 58, col rinnovo del contratto sociale, si potette riprendere in mano la situazione e pian piano riassestare l'azienda che usciva da un colpo così duro.
Le vendite del 58 infatti scemarono a 179 milioni e gli acquisti furono di appena 110 milioni. L'azienda quindi subiva un tracollo perché l'incidenza delle spese generali sulle vendite era insostenibile.
I bilanci degli anni 59 e 60 rispecchiano la ripresa dell'azienda.
Nel 59 gli acquisti salgono a 173 milioni, le vendite a 223 milioni, i clienti a 72 milioni con 15 milioni di inesigibili.
Nel 60 gli acquisti salgono a 207 milioni, le vendite a 249 milioni.
Le spese generali subiscono lievi aumenti. L'azienda però è in pieno sviluppo e i dati del 61 lo confermano.
Nell'ambiente dei fornitori, delle banche e anche cittadino, si riconosce lo sforzo fatto e tutti capiscono che il merito è del Dott. Nicola, che ha riportato l'azienda ad un livello diverso.
Il 61 vede confermare le prospettive ed infatti il bilancio del 10/7/61, nel mentre porta la cifre delle banche a ben 146 milioni e quella dei clienti a 99 milioni, dimostra che quella dei fornitori invece ha un miglioramento.
[6] Il 7/5/1961 era raggiunto il massimo di scoperto con 153 milioni. Nei giorni della morte del socio Domenico, il figlio ebbe la preoccupazione di non farcela con le banche, che avrebbero potuto rifiutare il pagamento in quanto col fido complessivo si raggiungeva la cifra massima di 130 milioni, ma l'andamento dell'azienda era tale che le banche non fecero alcuna difficoltà il giorno dopo la morte del socio Domenico e consentirono che il fido fosse superato di ben 23 milioni.
La situazione aziendale, vedendo le cifre di bilancio, non appare di certo rosea, ma se si pensa all'andamento progressivo delle vendite, che dagli 86 milioni del 1° semestre 58 passa ai 100 del 59, ai 110 del 60, ai 130 del 61, si vedrà che il miglioramento della situazione è lampante.
Tutto questo, se non è noto nei particolari a chi non è nella Ditta, è stato però così evidente che ha logicamente creato delle speranze ...
Le richieste delle coeredi a questo punto diventano pressanti in quanto intuiscono che la posizione dell'eredità è chiara: titoli in banca nominativi; immobili; quota azienda ...
Ed allora …
[7] … l'incremento dei profitti incoraggia alcune coeredi ad avanzare richieste che la Ditta non è in condizioni di soddisfare senza pregiudicare le proprie prospettive di sopravvivenza. Ciononostante, al termine di alcune lunghe e complesse perizie, il Dott. Nicola d'Ammacco non può esimersi – suo malgrado – dal versamento di congrue liquidazioni che determinano un non più sostenibile aggravamento della situazione debitoria della Ditta. La stessa Ditta si avvia pertanto verso la sua inevitabile fine, anche se l'oculata gestione del suo – ormai unico – Titolare riesce comunque a mantenerla in perfetta efficienza ancora per quasi un decennio, assicurando alla Città un servizio di elevata qualità e di sicuro prestigio. In quegli anni, infatti, i Grandi Magazzini d'Ammacco si presentano ancora, e più che mai, come un esercizio strutturato e gestito secondo delle concezioni estremamente moderne ed innovative, capace di garantire la rispondenza delle proprie merci attraverso un'accurata selezione delle fonti di approvvigionamento sul territorio nazionale (rivolgendosi, ad esempio, ad un gruppo consociativo di negozianti specializzati, qual'era, fin dalle sue origini, la Società Cooperativa Corit), ed estendendo la ricerca dei fornitori anche all'estero, sia in Europa (ad esempio per le stoffe inglesi) che oltre Oceano.
Nel 1968, in un contesto di consolidata vitalità dei Grandi Magazzini, per il perdurante buon andamento delle vendite, ma con una situazione debitoria non più sanabile, lo stesso Titolare richiede l'ammissione della Ditta alla "amministrazione controllata", a garanzia della trasparenza delle operazioni compiute e nell'ottica di attutire quanto più possibile l'effetto traumatico del suo imminente epilogo sul personale dipendente e sui creditori. Questa fase transitoria si protrae per oltre quattro anni, sfociando infine nelle procedure del fallimento.
Dopo quella triste pagina, il Dott. Nicola d'Ammacco continua comunque a devolvere la quasi totalità degli introiti della Boutique SABA al pagamento dei debiti degli ex Grandi Magazzini, prefiggendosi di pervenire alla loro estinzione, con uno spirito analogo a quello che aveva a suo tempo animato suo nonno a fronte dell'attacco subito dalla Cassa Operaia di Sconto e Pegni. Così facendo, egli perviene infine, dopo circa un decennio, ad ottenere la formalizzazione di un "concordato" accettato da tutte le parti in causa, ciò che gli consente di uscire a testa alta dall'intera vicenda e senza alcuna ulteriore pendenza. Ed è proprio con l'intima soddisfazione di aver, con le sole proprie forze, onorato tutti gli impegni personalmente assunti per fronteggiare le conseguenze dei debiti ereditati, ch'egli giunge, nel novembre 1984, al termine della sua vita.