Delle valutazioni molto interessanti sulla necessità di difendere la nostra lingua, evitando soprattutto l'uso superfluo di parole inglesi quando esiste un'equivalente locuzione italiana, sono contenute nella seguente pagina del sito Nuovo e Utile di Annamaria Testa:
" 300 parole da dire in italiano: la lista definitiva ". |
Già nel 2005 mi ero occupato di questo preoccupante fenomeno e avevo scritto un articolo per il giornalino di un’associazione con sede a Bruxelles, che si proponeva (chissà se ha abbandonato la speranza!) di diffondere la lingua italiana.
Da allora sono passati otto anni e la situazione è quella evidenziata dalla ricerca di AgostiniAssociati.it, società italiana attiva nel settore della traduzione scritta, che traduce dall’italiano in varie lingue oltre 90 milioni di parole all’anno. La ricerca evidenzia che: “Dal 2000 ad oggi, l’uso di termini inglesi nella lingua italiana scritta è aumentato del 773% in base ad una rilevazione condotta su un campione di 58 milioni di parole prodotte da aziende italiane. Nella classifica delle parole inglesi trapiantate nell’uso comune, i primi 3 posti per frequenza sono occupati dai termini look, business e fashion”.
A quanto pare però la cosa sembra preoccupare solo me e pochi altri attenti osservatori delle abitudini di casa nostra perché, cercando in rete, non ho trovato un gran ché sull’argomento anzi, quasi nulla.
Neppure l’Accademia della Crusca che dovrebbe essere l’associazione che più di qualunque altra dovrebbe sposare la causa della difesa della nostra lingua, sembra interessarsi a questo argomento.
Non parliamo poi delle istituzioni che, anzi, contribuiscono solo a peggiorare la situazione “immettendo nel mercato” termini quali bipartisan, privacy, governance, default, spread, deregulation, premier, autority o peggio ancora utilizzando espressioni come election day, spending review o il più recente job act tirato fuori dal cappello a cilindro dal neo Primo Ministro (e non premier!) Renzi (incomincia bene il ragazzo). Il massimo è stato togliere ai cittadini il diritto di chiamare una istituzione pubblica con il suo nome italiano, come era capitato alcuni governi fa quando il Ministero del Lavoro fu rinominato Ministero del Welfare!
Non entriamo poi nel mondo della televisione dove i giornalisti e gli annunciatori/annunciatrici ci mettono il carico da novanta abbracciando totalmente questa tendenza, con frequenti figuracce dal momento che in pochi riescono ad avere una pronuncia corretta.
Vogliamo parlare dell’abuso dell’inglese nelle pubblicità? Meglio di no!…
Quello che mi meraviglia di più è che la Società Dante Alighieri, con la sua peraltro apprezzabile iniziativa “Beatrice”, non si accorga di contribuire al diffondersi di questa abitudine! Lo stadio della colonizzazione è talmente avanzato da aver ormai anestetizzato non solo la maggior parte degli Italiani, ma anche le istituzioni preposte alla salvaguardia della nostra lingua, che accettano di buon grado che ogni tanto, nell’italiano scritto e in quello parlato, si intrufoli una parola straniera che riesce tranquillamente a passare inosservata. Proprio come se fosse italiana.
Voglio dire che anche la Dante Alighieri è caduta nella trappola dell’inglesismo in modo completamente indolore: nella pagina iniziale di Beatrice si viene infatti immediatamente colpiti da un assoluto controsenso e cioè dalla frase: “Beatrice, il social network della lingua italiana”. E’ come se in Inghilterra, un’associazione in difesa dell’inglese (che si difende bene da solo!) mettesse sulla propria pagina iniziale la frase: “Jennifer, rete sociale for the protection of english language”.
Per fortuna poi, iniziando a navigare, ci si imbatte nel marchio della Dante Alighieri dove campeggia il motto: promuoviamo insieme la lingua italiana – Società Dante Alighieri, il mondo in italiano!!!! Una svista? Non credo, perché continuando a giracchiare nel sito troviamo altre belle paroline come home page, Myworlds, help web e, una volta entrati nella propria area, si viene invitati a pubblicare un post.
So che posso essere tacciato da fondamentalista ma se vi fermate un momento a pensare e riflettete in italiano, scoprirete che se il gestore del sito (e non web manager!) avesse usato l’italiano, l’utente di lingua italiana avrebbe capito meglio ciò che gli veniva indicato e cioè che sta entrando in una rete sociale e che gli viene suggerito di pubblicare un messaggio. Quanto a Myworlds e help web, non si capisce proprio perché l’assistenza in rete debba camuffarsi sotto le vesti di termini che sembrano, per la loro incomprensibilità, voler spingere l’utente ad andare a vedere cosa c’è dietro…
Certo, si può obiettare che in una comunicazione sempre più globalizzata non si può fare a meno di uniformarsi, che usare l’italiano in rete potrebbe far sorridere (o addirittura ridere) gli utilizzatori più assidui, che le parole che hanno a che fare con internet sono di recente creazione e quindi bla bla bla…… vi assicuro però che non è così in Francia e non è così in Spagna per citare due paesi di lingua neolatina certamente non di secondo piano in Europa.
Un Francese o uno Spagnolo non diranno mai benchmarking bensì étalonnage e análisis comparativo rispettivamente. Addirittura in questi paesi hanno coniato la propria terminologia informatica: da computer, che in Francia si chiama ordinateur e in Spagna ordenadora, a display, rispettivamente écran e pantalla. I Francesi hanno persino coniato termini propri per le unità di misura alle quali noi non abbiamo neanche minimamente tentato di dare un nome italiano assimilandole tranquillamente con l’inglese bit e byte; in Francia si chiamano octet, così come si chiama logiciel il software e fichier il file. Uno Spagnolo poi non dirà data base bensì base de datos, non avrà un account bensì una cuenta, quando dovrà inserire il suo id lo inserirà nel campo dove troverà scritto usuario ed infine digiterà la propria password chiamata contraseña.
Ho lavorato in Belgio, Francia, Principato di Monaco, Croazia e Uruguay. Parlo e scrivo da madrelingua in spagnolo, francese e inglese e vi assicuro che neppure i Croati, che pure hanno avuto più degli altri necessità di capire e farsi capire per uscire dall’isolamento impostogli dal regime quando facevano ancora parte dell’allora Jugoslavia, neppure loro usano i termini username e password che sono forse ormai fra i più “digeriti” da noi Italiani.
Ma nell’informatica sarei anche disposto a chiudere mezzo occhio, anche se….. Quello che però mi fa veramente ribollire il sangue è l’uso assolutamente gratuito (nel senso di ingiustificato) di termini inglesi nella vita di tutti i giorni. Soprattutto chi ha a che fare con le aziende si troverà di fronte persone che gli “spareranno” addosso parole come marketing, management, meeting, mission, vision, network, output, newsletter, knowledge, policy, report, skill, slide, stakeholder, start up, assessment, ma non voglio star qui ad allungare l’elenco.
Quello che devo constatare è che, nonostante il perdurare di tale scempio della nostra lingua (che sottende secondo me una certa ignoranza di fondo dell’italiano medio) ma soprattutto, nonostante il fatto che il fenomeno si stia estendendo a macchia d’olio nella popolazione, nessuno, ma proprio nessuno, mostra di voler porre un freno a questo “brutto vizio” che sembrerebbe aver colpito in modo virale (per usare un’espressione moderna ma almeno non mutuata dall’inglese) solamente il nostro paese. Inoltre, dai pochi articoli che ho potuto trovare in rete sull’argomento, si continua a dare la colpa ai nuovi media (n.b. “media” è una parola latina!), alla globalizzazione e anche a metodi d’insegnamento sempre meno efficaci.
Ora, è innegabile che la possibilità di comunicare con il mondo intero solamente pigiando un tasto (avrei potuto dire con un click!) o di accedere in pochi secondi a notizie che provengono da ogni dove semplicemente collegandosi a internet abbia contribuito a far entrare termini provenienti da altre culture nel nostro vocabolario, ma è altrettanto innegabile che nessuno ha fatto nulla per impedirlo. Inoltre, questa contaminazione è a senso unico, nel senso che la nostra bella lingua non riesce a penetrare nel lessico di nessun altro popolo se non con due o tre termini come “ciao”, “spaghetti” e forse “sole mio”! Fatto sta che il risultato di questo imbastardimento passivo è quello messo in luce dall’indagine condotta da AgostiniAssociati.it che mostra purtroppo che in 13 anni l’uso dei termini inglesi nella nostra lingua è aumentato del 773%!!!
Ovviamente i “colonizzati” (gli Italiani), non avendo per loro natura grande dimestichezza con le lingue straniere, le usano spesso a sproposito. Inoltre, gran parte di questi crede che basti riempirsi la bocca con parole di un’altra lingua per dimostrare di essere colto o competente; anzi, più si è incompetenti, più si tende a “distrarre” la platea (e non l’audience!) con inglesismi gratuiti, pronunciati oltretutto in modo da risultare completamente incomprensibili ad un madrelingua inglese! Molto spesso poi, gli amanti di questa pratica sono gli stessi che nei vari forum (o blog) scrivono: “Avvolte preferisco guardare la tivvù ke andare allo stadio, mia moglie invece a sempre le stesse voje….”
Che dite, vogliamo iniziare a preoccuparci un pochino?…
Personalmente non posso più stare a guardare passivamente e quindi, approfitto di questo spazio messo a disposizione dalla Società Dante Alighieri per lanciare un appello. In poche parole vorrei passare dalla constatazione e dalla lamentela alla proposizione di una o più iniziative da far pervenire alle autorità preposte per iniziare un’azione di sensibilizzazione al problema. Ovviamente non posso farlo come singolo cittadino dato che non mi ascolterebbe nessuno ma penso che se lo facesse un’istituzione del calibro della Dante Alighieri, magari in associazione con altre società, enti, circoli culturali ecc… potrebbe iniziare ad avere attenzione. Per quanto mi riguarda sarei ovviamente disponibile a dare il mio contributo e inizio subito ad illustrare la mia idea.
Per prima cosa occorrerebbe riuscire ad ottenere un incontro dall’attuale Ministro dell’Istruzione per iniziare a sensibilizzarlo sull’argomento. Nella stessa sede si potrebbe già essere propositivi consegnando una serie di proposte la cui realizzazione potrebbe essere fatta in tempi rapidi con un esborso minimo di risorse economiche.
Fra queste ci potrebbe essere l’istituzione della “giornata della lingua italiana” da celebrarsi ogni anno con iniziative varie che, con il patrocinio del Ministero (e magari di qualche Fondo Europeo) coinvolgessero gli istituti scolastici, la stampa, la televisione ecc…
Alcuni esempi:
- nelle scuole in quel giorno si potrebbe lanciare una competizione (quindi con una classifica e dei vincitori) chiedendo agli studenti di svolgere un tema sull’argomento. I primi tre ad esempio potrebbero vincere un corso di lingua straniera nel paese scelto (oppure altro)…
Inoltre, si potrebbe estendere agli studenti l’iniziativa “Adotta una parola” in modo da sensibilizzare i ragazzi fin dalla giovane età, rendendoli più coscienti della loro lingua madre.
- noleggio di una pagina dei maggiori quotidiani per pubblicare un motto (e non slogan!) che valorizzi la lingua italiana e che sia di facile memorizzazione (es.: ……………… )
- la televisione potrebbe mandare in onda un programma o un film con qualche attinenza al problema (es.: mandare in prima serata sulla RAI uno speciale sui giovani Italiani, Francesi e Spagnoli, mostrando i loro stili di vita e il modo in cui usano esprimersi nella loro lingua).
Oltre a queste iniziative basiche si potrebbero fare tantissime cose ma senza l’attenzione degli organi ufficiali dello Stato è certamente un’impresa ardua. Se si riuscisse a fare almeno una delle cose proposte sopra sarebbe già una bella vittoria e forse un giorno si potrebbe arrivare anche in Italia all’emanazione di una legge che tuteli la nostra lingua sulla scia di quanto fatto in Francia con la Loi Toubon già nel 1994!!! Restituire all’italiano l’importanza ed il rispetto che merita non solo all’interno dei confini nazionali ma anche nel contesto internazionale sarebbe davvero una grande vittoria ed un grande passo avanti per tutti noi.
Mi auguro che questa mia non resti lettera morta e, nell’attesa di un cenno da parte della Dante Alighieri auguro un proficuo lavoro a tutti coloro che sono impegnati nella salvaguardia della cultura italiana.
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